Moody’s declassa la Spagna. Usa, timori per effetto contagio. Mons. Toso: "manca un
progetto globale di crescita"
A pochi giorni dal G20 di Los Cabos in Messico, gli Stati Uniti lanciano nuovamente
l’allarme contagio per le economie europee e Moody’s declassa la Spagna. Intanto,
il premier italiano Monti ha annunciato alla Camera l’attuazione di misure per la
crescita dirette a tranquillizzare i mercati. Il servizio di Stefano Leszczynski:
Sul difficile
momento che l’Europa sta attraversando, Alessandro Guarasci ha sentito monsignor
Mario Toso, segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace:
D. - Ritiene
che sia stata messa in campo davvero una’azione solidaristica in Europa per uscire
dalla crisi?
R. - L’azione di risanamento va accompagnata da un’azione mirante
a sostenere la crescita, specie dei Paesi più deboli. Senza una tale crescita è impensabile
che si possa uscire dall’attuale crisi. E, tuttavia, non si vede ancora un progetto
globale di crescita sia in Italia che in Europa. Vi sono, piuttosto, risposte parziali.
Manca un progetto organico, come sarebbe richiesto da una crisi e da una recessione
che colpisce la maggioranza dei paesi. Mancano, assieme alle necessarie politiche
unitarie di tipo fiscale ed economico, politiche di solidarietà, che dipendono, come
è noto, dalla volontà politica degli stessi paesi europei, inclusa la Germania. Quanto,
poi, alla crescita, non sembra si stiano costruendo le condizioni di in ciclo di ripresa
e di sviluppo di lungo periodo. Qualora fossero anche accettati gli aggiustamenti
proposti alla politica di austerità fiscale europea, quali la deducibilità degli investimenti
pubblici ai fini del calcolo del deficit e del debito, bisogna dire che non sarebbero
sufficienti ad invertire la tendenza attuale senza la regolazione dei mercati finanziari
e dello Shadow Banking System; senza una politica industriale centrata sul rapporto
banca/impresa/economie e comunità di riferimento; senza politiche di equità redistributiva
in grado di realizzare prelievi straordinari sulle grandi ricchezze patrimoniali per
finalizzarli in parte ad abbattimento del debito, in parte ad investimenti anticiclici;
senza una rigorosa riforma fiscale che, a parità di gettito e colpendo l'evasione,
redistribuisca il carico fiscale liberando risorse consistenti per le fasce medio-basse
di reddito, decisive - per l'elevata propensione al consumo -, ai fini della ripresa
della domanda interna; senza un coordinamento delle varie politiche (finanziarie,
industriali, agricole, scolastiche) per vincere la crescente piaga della disoccupazione,
specie giovanile; senza l’impegno nel promuovere una democrazia sostanziale e partecipativa,
nonché un Welfare societario, necessario soprattutto per le fasce sociali più deboli
e colpite dalla crisi. La crisi, tra le altre cose, ha dimostrato il dominio del capitalismo
finanziario sgregolato, il nesso strutturale tra crisi finanziaria e recessione, tra
recessione e devastazione sociale, tra devastazione sociale e corrosione delle istituzioni
democratiche e la necessità di uscirne attraverso una riforma rigorosa e radicale
del suddetto capitalismo. Occorre andare verso un capitalismo democratico, funzionale
al bene comune. La questione della crescita ė sistemica e, quindi, dovrebbe essere
affrontata in modo sistemico. L'anarchia dei mercati finanziari e degli intermediari
ombra globali è in grado di compromettere ex ante qualsivoglia ripresa, condannandola
alla precarietà dell'instabilità. Ma non si può dimenticare che la crisi attuale è
soprattutto una crisi di senso perché crisi antropologica ed etica, crisi spirituale.
Conseguentemente si richiede un cambiamento deciso del paradigma culturale che ha
consentito il prevalere di un capitalismo finanziario sregolato, a tendenza globale.
A questo proposito restano attuali le indicazioni offerte dalla Caritas in veritate
e dalle riflessioni del Pontificio Consiglio sulla Riforma del sistema finanziario
e monetario nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale.
D.
- La crisi è partita anche dalle agenzie di rating. Ritiene il loro potere eccessivo
e serve una maggiore collaborazione Usa-Ue?
R. - E’ chiaro che considerando
la crisi non si può ignorare il ruolo svolto dalle Agenzie di rating che scrutinano
il merito di credito degli emittenti. L’esperienza passata e di questi giorni evidenzia
l’urgenza di una loro regolazione. È noto, infatti, come alcune Agenzie, di tipo privato,
abbiano pesantemente fuorviato il mercato con giudizi falsi, infondati o comunque
imprudenti. Cresce sempre più l’opinione secondo cui l’Europa, ma anche altri soggetti
politici, dovrebbero dotarsi di una propria Agenzia di valutazione, in modo da non
dipendere da Agenzie manovrate da regie occulte e da interessi privati. Le Agenzie,
sia private che pubbliche, non vanno demonizzate, semmai vanno adeguatamente supervisionate
e controllate, rendendole funzionali al buon funzionamento dei mercati finanziari,
aumentando anche la concorrenza tra le stesse. In tutto questo non guasterebbe una
maggior collaborazione tra Usa-UE.
D. - Dopo quanto successo in Grecia, teme
l’esplodere di nuove tensioni sociali in Europa?
R. - Occorre dire che in
questo periodo di profonda crisi, una crisi che comprende anche la politica, la gente
sta dimostrando una notevole pazienza, nonché un buon grado di reattività. In generale
reagisce civilmente, individuando e percorrendo anche nuove vie. E, tuttavia, l’attuale
crisi epocale ha destrutturato prospettive, strumenti, istituzioni del passato, relativi
ad un mondo che sta scomparendo. Occorre, allora, praticare un nuovo pensiero e una
nuova progettualità, come ha sollecitato Benedetto XVI più volte. Senza di essi non
si può consolidare e ampliare ciò che di nuovo e di positivo sta emergendo, non si
avranno a disposizione quelle istituzioni che sono indispensabili e che vanno progettate
sul piano sia locale che globale. Se non si provvederà a dare risposte efficaci e
rapide ai problemi emersi, le tensioni sociali purtroppo cresceranno.