La testimonianza di un parroco dell’Aquila: la fede più forte del terremoto
A più di tre anni di distanza dalla notte del 6 aprile 2009, il centro dell’Aquila
è ancora zona morta, una ferita profonda nel cuore di una città che fa fatica a risollevarsi.
All’interno di questa "area fantasma", che in gergo si definisce “zona rossa” c’era
anche la parrocchia di Santa Maria di Roio, guidata da don Salvatore Fasulo,
che al microfono di Roberta Barbi racconta com’è la situazione adesso:
Ci vogliono
anni a costruire, una pietra dopo l’altra, la vita di una comunità; poi, una notte,
in pochi secondi quelle pietre crollano e si portano via vite umane, ma anche la vita
della comunità. È questa la testimonianza di don Salvatore Fasulo, che era il parroco
di Santa Maria di Roio, parrocchia al centro dell’Aquila a 200 metri dal Duomo, e
amministratore di San Silvestro, splendida chiesa del XIV secolo, che contiene il
gioiello architettonico della Cappella Camponeschi. Entrambe sono inagibili e la comunità
non esiste più:
“A livello di comunità non si può più parlare di comunità
perché tutta la popolazione fin dall’inizio è stata dispersa in diversi posti. Ho
provato, più di una volta, nel periodo natalizio, nel periodo pasquale, ad incontrarli,
anche per essere insieme e stare un po’ insieme. Alla fine sono riuscito a riunire
30 persone al massimo, perché ormai chi era impegnato, a livello parrocchiale, ha
cercato di impegnarsi nei posti dove era stato trasferito”.
Macerie, crepe,
il telefono che suona a vuoto: è questo ciò che rimane della comunità di Santa Maria
di Roio, parrocchia che esiste ormai solo come titolo. Ci vorranno almeno 10 anni
prima che tutto possa tornare come prima. Nel frattempo, don Salvatore vuole mantenere
viva nei suoi ricordi la parrocchia com’era un tempo:
“Era una parrocchia
piuttosto anziana, però per la posizione che aveva, trovandosi in una zona di passaggio,
davo immancabilmente la mia disponibilità dalle 9 alle 11 tutti i giorni. Studenti
universitari o impiegati di passaggio c’era sempre qualcuno che veniva a confessarsi.
Era un punto di riferimento. Poi avevo la collaborazione di un istituto di suore,
le suore del Preziosissimo sangue, che mi aiutavano per i canti e con l’animazione.
Eravamo riusciti, con l’aiuto del Signore, a creare una bellissima comunità; e in
un attimo, venti secondi, è stato distrutto tutto”.
Oggi don Salvatore
è viceparroco di San Mario, nella frazione della Torretta, dall’altro lato della città.
Qui sta ricostruendo la sua vita – ha perso casa sua – e la sua attività pastorale.
Nella giornata in cui ci ha dedicato qualche minuto del suo tempo, in parrocchia ci
sono state le Prime comunioni, con una sorpresa speciale:
“Nella parrocchia
dove adesso svolgo questo ministero di viceparroco mi dedico alle confessioni, celebro
la Messa del sabato sera e cerco di dedicarmi, quindi, anche alla predicazione. Oggi
mi sono ritrovato, senza volerlo, con due famiglie, che facevano parte della mia parrocchia
- i loro nipotini facevano la prima comunione - ed è stata una gioia incontrarci”.
L’Aquila
è oggi una città che vive nell’attesa di un futuro. Molti sono riusciti a tornare
a casa, altri no, soprattutto coloro che vivevano in centro. Don Salvatore ci spiega
come si può portare alla popolazione una parola di conforto e di speranza:
“Come
riusciamo? Innanzitutto, con la nostra esperienza, perché guai se non ci fosse stata
quella forte esperienza di fede. Sono stati momenti terribili; quando ti crolla tutto
e non hai più niente. Io posso parlare in prima persona. Ho perso tutto, però la Fede
è rimasta, ed è stata di grande aiuto”.