Myanmar: Centro studi asiatico invoca una riforma del sistema giudiziario e penale
Il Myanmar deve eliminare dal suo sistema giudiziario e dall’ordinamento penale pratiche
come l’arresto illegale e arbitrario, le detenzione senza prove, la tortura, la confessione
forzata, i processi a porte chiuse, la pena di morte. Urge promuovere equità nei tribunali
e nell’applicazione della giustizia: è l’appello lanciato dall’Asian Legal Resource
Centre (Alrc), Centro studi con sede a Hong Kong, che monitora la situazione della
giustizia nelle nazioni asiatiche. In una nota inviata a Fides, il Centro afferma
che una magistratura del tutto indipendente dal potere politico è un passo essenziale
per la democrazia e lo stato di diritto in Myanmar, nella nuova fase di apertura e
riforme che sta vivendo il Paese. Il Centro cita il caso di Phyo Wai Aung, attivista
condannato a morte l'8 maggio 2012 da un tribunale di Yangon, per il suo presunto
coinvolgimento in un attentato nel 2010 che uccise 10 persone. Il suo processo è iniziato
il 30 giugno 2010, quando il Myanmar era ancora sotto la giunta militare e prima degli
importanti cambiamenti sociali e politici verificatisi nel Paese. Il suo caso è esemplare
perchè mostra il controllo politico sul potere giudiziario e le tendenze autoritarie
nelle istituzioni della giustizia in Myanmar dove, secondo l’Alrc, i “tribunali finiscono
per perseguitare, piuttosto che proteggere i cittadini”. Tra le molteplici violazioni
del diritto interno e internazionale, nel caso di Phyo Aung Wai si segnalano: l’arresto
illegale; la detenzione illegale; la tortura (anche con bruciature ai genitali) per
estorcergli una confessione. Durante la detenzione l’uomo non ha potuto vedere né
la sua famiglia né un avvocato. Inoltre il processo è stato sommario, a porte chiuse
e si basato su prove artefatte, come presunte telefonate fra l’accusato e altri uomini
incriminati. Altre prove, invece, non sono state ammesse nel processo, come la testimonianza
di un uomo che poteva fornire un alibi all’accusato. Il Centro segnala anche la “negazione
del diritto alla difesa”, in quanto all'avvocato di Wai Phyo Aung ha avuto solo sei
giorni per rispondere a tutti gli argomenti dell’accusa. L’Asian Legal Resource Center
nota che – in risposta alle nuove condizioni politiche emergenti nel paese – la magistratura,
la polizia, i pubblici ministeri e le agenzie che si occupano della gestione dei casi
criminali non mostrano però alcun cambiamento nel loro atteggiamento repressivo. “Nel
lungo periodo – conclude il Centro – l'eliminazione di tendenze autoritarie in queste
agenzie e nell’apparato statale potrebbe rivelarsi il compito più difficile”. (R.P.)