Legge 194 al vaglio della Consulta. D'Agostino: serve un diritto europeo a difesa
della vita
Le legge 194 sull’aborto sarà al vaglio della Consulta il prossimo 20 giugno a seguito
del ricorso presentato dal tribunale di Spoleto lo scorso gennaio che ha chiesto l’esame
di costituzionalità della norma dopo la domanda di una minorenne di abortire senza
coinvolgere i genitori. In particolare l’articolo invocato, su cui la Consulta è chiamata
a pronunciarsi è il n. 4 che però non riguarda le minorenni. Dunque la questione al
vaglio è ben più ampia come spiega, al microfono di Gabriella Ceraso, il presidente
dell'Unione Giuristi Cattolici italiani, Francesco d’Agostino:
R. - L’articolo
della Legge 194 che riguarda le minorenni è l’articolo 12. L’articolo 4 riguarda,
invece, tutti gli aborti di minorenni e di maggiorenni, compiuti nei primi 90 giorni
di gravidanza.
D. - Quindi il caso in esame potrebbe avere conseguenze sull’intero
impianto della legge?
R. - Esatto. Il giudice ha chiesto alla Corte Costituzionale
di valutare se la grande discrezionalità che è riconosciuta alle donne che chiedono
un aborto legale nei primi 90 giorni di gravidanza, è giustificata o no. Attualmente,
in base all’articolo 4, un aborto è consentito quando la gravidanza comporta un serio
pericolo per la salute fisica o psichica della donna. Attenzione però: questo pericolo
va letto in relazione non solo allo stato di salute della donna, ma anche alle sue
condizioni economiche, sociali e familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il
concepimento.
D. - Nel caso di una minorenne, si è arrivati al giudice tutelare
seguendo un iter stabilito da questa legge. Questo giudice ha ritenuto che la norma
della legge 194 sarebbe in contrasto con quanto previsto dalla Corte di Giustizia
Ue il 18 ottobre del 2011 e poi in contrasto anche con altri articoli della Costituzione
sulla tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, dei diritti alla salute, del diritto
all’assistenza sanitaria ed ospedaliera. Che cosa significa questo?
R. - Significa
che la Corte europea di giustizia, pochi mesi fa, ha elaborato una sentenza che è
davvero rivoluzionaria perché ha riconosciuto che il principio della dignità umana
si applica ad ogni individuo umano sin dal concepimento, quindi ai nascituri e agli
embrioni stessi. Così la Corte europea di giustizia ha, in qualche modo, revocato
in dubbio il principio su cui si era mossa la Corte costituzionale italiana tanti
anni fa per giustificare la costituzionalità della legge sull’aborto, quando aveva
stabilito che tra gli interessi della donna - che è persona - e gli interessi del
nascituro - che persona deve ancora diventare - dovrebbero legittimamente essere considerati
prevalenti gli interessi abortivi della donna. Questo argomento non vale più, perché
la differenza tra donna e nascituro dal punto di vista della dignità personale è stata
negata dalla Corte europea di giustizia.
D. - Dato che la Corte europea ha
un parere vincolante, secondo lei, quale sarà la posizione della Corte Costituzionale
a questo punto?
R. - La Corte Costituzionale italiana dovrebbe aver il coraggio
di leggere nella sentenza della Corte europea di giustizia non tanto un dispositivo
garante del nostro ordinamento, perché non è così, ma un principio di civiltà giuridica
o, se si vuole, un messaggio di civiltà giuridica, che la Corte europea di giustizia
ha mandato a tutti i Paesi europei. Se la Corte costituzionale si muoverà in questo
senso, avremo la prova che sta realmente nascendo un diritto europeo condiviso da
tutti i Paesi del nostro continente; altrimenti dovremmo, con tristezza, prendere
atto che siamo ancora molto lontani dal condividere valori unificanti a livello europeo.
D.
- L’aborto rimarrà lecito, ma la donna potrebbe trovarsi nella posizione di giustificare
la sua volontà con motivazioni più sostenute, secondo lei?
R. - Sicuramente
il punto debole - alcuni dicono: l’ipocrisia - dell’attuale legge italiana sull’aborto
sta nel fatto che si riconosce un aborto legale alla donna, quando la donna invoca
ragioni di salute, e questo potrebbe anche essere accettabile; ma subito si riconducono
queste ragioni di salute a motivazioni di carattere economico sociale, che molto spesso
con la salute non hanno assolutamente niente a che fare. È su questo nodo che dovremmo
intervenire con onestà intellettuale, indipendentemente dall’impulso che potrebbe
essere dato dalla Corte europea di giustizia.