San Gerlando a Lampedusa: una comunità che vive il Vangelo anche quando i riflettori
si spengono
La parrocchia di San Gerlando a Lampedusa balza ciclicamente al centro della cronaca,
in parallelo con le ondate di sbarchi che dal Maghreb portano centinaia di migranti
sulle coste italiane alla ricerca di una vita migliore. Ma come vive la comunità locale
di quest’isola quando i riflettori si spengono e la situazione d’emergenza smette
di rovesciare la quotidianità della popolazione? Il servizio di Roberta Barbi:
Essere circondata
sui quattro lati dal mare non ha mai impedito a Lampedusa, estremità meridionale del
continente europeo che si protende verso l’Africa, di essere terra di frontiera e
d’immigrazione. Crocevia dei popoli nella storia, in seguito punto di passaggio per
l’immigrazione ordinaria che sull’isola faceva tappa prima di proseguire verso la
terraferma, oggi è soprattutto la terra promessa per migliaia di profughi che fuggono
da fame, guerra e violenza, come ricorda padre Stefano Nastasi, parroco di
Lampedusa:
“Questa esperienza dell'immigrazione l’abbiamo vissuta più volte,
non soltanto come fenomeno ordinario di transito sul territorio dell’isola, ma anche
come emergenza assoluta. Questa è una realtà che si impone sulla vita ordinaria dell’isola.
Quando per esempio ci siamo trovati in momenti di emergenza, a guidarci era la parola
della Lettera ai Romani quando dice: ‘Riportate gli uni i pesi
degli altri’”.
All’udienza con il Santo Padre, don Stefano descrisse così
la situazione d’emergenza che viveva Lampedusa durante il conflitto in Libia: “Una
guerra senza armi”. La comunità di cui è a capo, però, anche in una condizione tanto
difficile, è stata capace di non perdere mai la calma, segnale di una popolazione
matura in termini di umanità e di fede, in grado di trovare risposte sempre nuove
nel cammino indicato dal Vangelo, di rimettersi in discussione quando il prossimo
bussa alla porta per chiedere aiuto e il suo pianto disperato non può restare inascoltato.
Questo spirito d’accoglienza è valso agli isolani anche una serie di riconoscimenti:
“Finito
poi il momento dell’emergenza, rimangono i problemi della comunità nel suo quotidiano.
Ad emergere è la povertà, le debolezze, le paure della comunità che si è vista trapassare
da un fenomeno del genere. Chi ha più forza, aiuti chi ha meno forza. Poi, passata
l’emergenza, le paure in alcuni rimangono; nei più piccoli, nei più deboli, negli
anziani in modo particolare. Bisogna capire che non eravamo abituati a tutto questo”.
In
parrocchia sono presenti diversi gruppi: fin dagli anni Cinquanta l’Azione Cattolica,
poi il Movimento dei Focolari e infine il Rinnovamento dello Spirito. Il confronto
tra le varie realtà a volte può rivelarsi acceso, di quella dinamicità che ricorda
l’acqua del mare, che fa paura quando è increspata dal vento di tempesta, ma poi torna
ad essere splendente e pulita, metafora dei diversi momenti che si trova ad affrontare
una comunità:
“Noi ci appoggiamo di norma a loro perché poi, all’interno
dei singoli gruppi ci sono le diverse persone che hanno assunto diversi servizi nella
comunità. Un grande aiuto viene da loro, ma non solo. Anche da altri che, in un momento
o nell’altro, cercano di dare delle risposte che permettono alla comunità di non fermarsi”.
A
Lampedusa, poi, esiste un santuario, meta di pellegrinaggio per locali e turisti.
È dedicato alla madonna di Porto Salvo, naturale punto di approdo per i fedeli, che
quotidianamente vi si recano per pregare:
“A me piace pensarlo come il tabernacolo
del cuore. È un tabernacolo della pietà e Maria come approdo, come punto di riferimento,
come porto di salvezza; lo è per i lampedusani ed anche per i turisti”.
Dopo
alcuni lavori di ristrutturazione, il 25 maggio scorso, la chiesa di San Gerlando
è stata riaperta alla comunità. Padre Stefano, proprio come Gerlando, il vescovo di
Agrigento al quale si deve la riorganizzazione della comunità cristiana della città
in cui oggi è venerato come patrono, la vede come una metafora di riorganizzazione
della comunità:
“Una volta sistemata un po’ la chiesa nella sua struttura
o nell’immagine muraria, poi bisogna pensare o ripensare ogni giorno, a ridare un
nuovo volto alla comunità. Nella sera dell’inaugurazione, ho detto: ‘A me piace pensare
a tutto questo incastonato tra due termini: memoria e profezia’. La memoria che è
il recupero delle radici dell’identità del passato, con una proiezione futura, che
diventa profezia per la comunità, un impegno”.