2012-06-04 15:02:23

San Gerlando a Lampedusa: una comunità che vive il Vangelo anche quando i riflettori si spengono


La parrocchia di San Gerlando a Lampedusa balza ciclicamente al centro della cronaca, in parallelo con le ondate di sbarchi che dal Maghreb portano centinaia di migranti sulle coste italiane alla ricerca di una vita migliore. Ma come vive la comunità locale di quest’isola quando i riflettori si spengono e la situazione d’emergenza smette di rovesciare la quotidianità della popolazione? Il servizio di Roberta Barbi:RealAudioMP3

Essere circondata sui quattro lati dal mare non ha mai impedito a Lampedusa, estremità meridionale del continente europeo che si protende verso l’Africa, di essere terra di frontiera e d’immigrazione. Crocevia dei popoli nella storia, in seguito punto di passaggio per l’immigrazione ordinaria che sull’isola faceva tappa prima di proseguire verso la terraferma, oggi è soprattutto la terra promessa per migliaia di profughi che fuggono da fame, guerra e violenza, come ricorda padre Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa:

“Questa esperienza dell'immigrazione l’abbiamo vissuta più volte, non soltanto come fenomeno ordinario di transito sul territorio dell’isola, ma anche come emergenza assoluta. Questa è una realtà che si impone sulla vita ordinaria dell’isola. Quando per esempio ci siamo trovati in momenti di emergenza, a guidarci era la parola della Lettera ai Romani quando dice: ‘Riportate gli uni i pesi degli altri’”.

All’udienza con il Santo Padre, don Stefano descrisse così la situazione d’emergenza che viveva Lampedusa durante il conflitto in Libia: “Una guerra senza armi”. La comunità di cui è a capo, però, anche in una condizione tanto difficile, è stata capace di non perdere mai la calma, segnale di una popolazione matura in termini di umanità e di fede, in grado di trovare risposte sempre nuove nel cammino indicato dal Vangelo, di rimettersi in discussione quando il prossimo bussa alla porta per chiedere aiuto e il suo pianto disperato non può restare inascoltato. Questo spirito d’accoglienza è valso agli isolani anche una serie di riconoscimenti:

“Finito poi il momento dell’emergenza, rimangono i problemi della comunità nel suo quotidiano. Ad emergere è la povertà, le debolezze, le paure della comunità che si è vista trapassare da un fenomeno del genere. Chi ha più forza, aiuti chi ha meno forza. Poi, passata l’emergenza, le paure in alcuni rimangono; nei più piccoli, nei più deboli, negli anziani in modo particolare. Bisogna capire che non eravamo abituati a tutto questo”.

In parrocchia sono presenti diversi gruppi: fin dagli anni Cinquanta l’Azione Cattolica, poi il Movimento dei Focolari e infine il Rinnovamento dello Spirito. Il confronto tra le varie realtà a volte può rivelarsi acceso, di quella dinamicità che ricorda l’acqua del mare, che fa paura quando è increspata dal vento di tempesta, ma poi torna ad essere splendente e pulita, metafora dei diversi momenti che si trova ad affrontare una comunità:

“Noi ci appoggiamo di norma a loro perché poi, all’interno dei singoli gruppi ci sono le diverse persone che hanno assunto diversi servizi nella comunità. Un grande aiuto viene da loro, ma non solo. Anche da altri che, in un momento o nell’altro, cercano di dare delle risposte che permettono alla comunità di non fermarsi”.


A Lampedusa, poi, esiste un santuario, meta di pellegrinaggio per locali e turisti. È dedicato alla madonna di Porto Salvo, naturale punto di approdo per i fedeli, che quotidianamente vi si recano per pregare:

“A me piace pensarlo come il tabernacolo del cuore. È un tabernacolo della pietà e Maria come approdo, come punto di riferimento, come porto di salvezza; lo è per i lampedusani ed anche per i turisti”.

Dopo alcuni lavori di ristrutturazione, il 25 maggio scorso, la chiesa di San Gerlando è stata riaperta alla comunità. Padre Stefano, proprio come Gerlando, il vescovo di Agrigento al quale si deve la riorganizzazione della comunità cristiana della città in cui oggi è venerato come patrono, la vede come una metafora di riorganizzazione della comunità:

“Una volta sistemata un po’ la chiesa nella sua struttura o nell’immagine muraria, poi bisogna pensare o ripensare ogni giorno, a ridare un nuovo volto alla comunità. Nella sera dell’inaugurazione, ho detto: ‘A me piace pensare a tutto questo incastonato tra due termini: memoria e profezia’. La memoria che è il recupero delle radici dell’identità del passato, con una proiezione futura, che diventa profezia per la comunità, un impegno”.







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