Mons. Lahham: dall'incontro di Milano grande sostegno alle famiglie cristiane del
Medio Oriente
Hanno partecipato all’incontro di Milano con il Papa anche numerose famiglie cristiane
provenienti dal Medio Oriente. Con loro era mons. Maroun Elias Lahham, vicario
patriarcale per la Giordania. Il nostro inviato Mario Galgano lo ha intervistato:
R. - Vengo dalla
Giordania, con delle famiglie arabe cristiane di Nazareth e della Palestina. Per noi
incontrare delle famiglie cristiane provenienti da tutto il mondo è un appoggio morale
e spirituale immenso, perché vivendo come minoranze arabe cristiane in un mondo a
maggioranza musulmana, sentiamo sempre questa limitazione nella nostra vita. Dunque
incontrare famiglie cristiane dei cinque continenti, per noi rappresenta un appoggio
morale e torniamo certamente molto arricchiti e sostenuti moralmente e spiritualmente
da questa esperienza di Milano.
D. - Lei ha accennato al fatto che siete una
minoranza: il dialogo interreligioso può anche passare e deve anche passare attraverso
le famiglie e quindi attraverso l’educazione dei propri figli… Da questo punto di
vista qual è la situazione e qual è anche la speranza per quanto riguarda il dialogo
interreligioso, ma anche riguardo soprattutto alla pace e alla giustizia?
R.
- Bisogna dire che sia in Palestina, sia in Israele, sia in Giordania le relazioni
tra le famiglie cristiane e le famiglie musulmane sono abbastanza buone, fatte eccezione
per qualche evento che capita qua e là. E’ importante che questo spirito di dialogo
e di rispetto reciproco sia coltivato nell’educazione dei figli, perché spesso si
è inclini a parlare male dell’altro quando si è nella propria famiglia. Dobbiamo quindi,
all’interno delle nostre famiglie, sforzarci di parlare bene dell’altro, anche se
l’altro è diverso e non condivide con noi la nostra fede. Soltanto così potremo veramente
creare un ambiente sociale e rispettoso e non soltanto rispettoso l’uno dell’altro,
ma considerando proprio la diversità dell’altro come un arricchimento per noi stessi.
Parlare poi di pace e di giustizia, se ne parla da 60 anni: adesso siamo giunti alla
conclusione che è inutile parlare di pace, finché non sarà stabilita la giustizia;
ma la giustizia rappresenta anche un affare politico e non sembra finora che i politici
abbiano questa priorità.
D. - Pensando anche ai nostri fratelli e sorelle
in Siria, così come in Egitto e in tutta l’area araba, che vivono una situazione molto
difficile. Voi avete contatti con queste comunità e se sì quali sono? Secondo lei
cosa si può fare per aiutare i cristiani, ma non solo i cristiani, in quelle aree
un po’ delicate?
R. - E’ vero che sono di aree delicate e sono delicate perché
stiamo vivendo una vera rivoluzione nel mondo arabo, quella che si chiama la “primavera
araba”, nella quale la strada riesce finalmente a dire quello che pensa. Per me questo
è molto positivo. Io sono stato vescovo in Tunisia, dove è scoppiata questa primavera,
e sono molto ottimista per i risultati che ha portato questa rivoluzione. E’ vero
che adesso c’è un momento di incertezza e dunque di paura: una minoranza è sempre
incline ad aver paura quando la situazione cambia. Nel rapportarci con loro chiediamo
due cose: “abbiate fiducia e evitate il panico, perché il panico non serve assolutamente
a nulla”. Le cose cambieranno in meglio e anche se i fratelli musulmani arriveranno
al potere, devono comprende che nella guida di un Paese - e questo lo capiscono e
lo hanno già capito in Tunisia - l’islam deve essere moderato: con un islam moderato
si può vivere e non c’è da aver paura. Le Chiese del mondo arabo sono sempre esistite,
esistono e esisteranno sempre. Per noi è una questione di fede e di volontà di Dio.