2012-06-03 15:09:19

A due anni dalla morte in Turchia di mons. Padovese, il ricordo vivo del suo impegno per il dialogo interreligioso


Due anni fa in Turchia veniva brutalmente assassinato presso la propria abitazione mons. Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca e vicario apostolico dell’Anatolia. Si trattò di un omicidio compiuto da un suo stretto collaboratore. Un evento che colpì uno dei principali esponenti del dialogo interreligioso nel Paese e che colpì profondamente la comunità minoritaria dei cristiani della Turchia. A fratel Paolo Martinelli, preside dell’Istituto francescano di spiritualità, amico e confratello di mons. Padovese, Stefano Leszczynski ha chiesto un ricordo del prelato scomparso.RealAudioMP3

R. – Credo che a due anni dalla morte il suo ricordo sia molto vivo, soprattutto per la sua testimonianza di vita e di impegno generoso, senza frontiere nell’incontro e nella comunicazione del Vangelo in modo semplice e quotidiano. Inoltre, credo sia molto vivo anche per la grande valorizzazione che lui ha fatto dei rapporti con gli ortodossi in primis ma anche con il mondo musulmano. Credo che la sua rimanga, oggi più che mai, una testimonianza di cosa voglia dire comunicare il Vangelo ed essere capaci di incontrare tutti, valorizzando ogni realtà positiva che si può incrociare.

D. – Un impegno che, al momento della sua morte, ha spinto Benedetto XVI a dire che questo assassinio non può essere attribuito né ai turchi e né alla Turchia e che non può oscurare, in alcun modo, il dialogo con l’islam. Due punti sui quali mons. Padovese aveva investito moltissimo...

R. – Certo. Direi che queste frasi del Santo Padre tendono a valorizzare proprio l’esperienza stessa di mons. Padovese, questa sua capacità di condividere la vita quotidiana della realtà turca. Credo che lui abbia veramente amato non solo la Turchia come terra dei padri della Chiesa, ma proprio la gente, il popolo turco: ha avuto la capacità d’incontrare le persone, di tessere tanti rapporti e ritrovarsi ad essere così un testimone della fede, capace di incontrare le persone che vivono il loro impegno nella vita quotidiana. In questo senso, quindi, la sua è una testimonianza che di certo ci spinge, ancora oggi, ad approfondire e a valorizzare tutti i rapporti positivi che ci sono.

D. – Tuttavia la situazione dei cristiani nei Paesi in cui sono in minoranza – e quindi anche in Turchia, spesso è difficile: ci sono molti ostacoli da superare, talvolta anche delle vere e proprie ostilità e minacce...

R. – Certo. Vorrei innanzitutto ricordare che mons. Padovese, nell’ultimo anno della sua vita, si era impegnato molto in questo senso: il suo impegno era in favore della libertà religiosa e non solo di quella di culto, proprio perché l’appartenenza ad una religione potesse essere un atto profondo della libertà e della coscienza della persona. Vorrei poi ricordare proprio il suo impegno, anche in vista del Sinodo del Medio Oriente, del quale era stato un grande protagonista nella preparazione: il suo contributo era andato senz’altro nella direzione di sottolineare l’importanza della valorizzazione delle minoranze religiose, mettendo in evidenza le difficoltà che i cristiani molto spesso incontrano in questi Paesi, dove sono una forte minoranza e dove, a volte, non sono neanche riconosciuti come una minoranza.

D. – Grazie a questa visione possiamo anche dire che la Chiesa, in Turchia, è riuscita a fare anche alcuni piccoli ma significativi passi avanti nel rapporto, anche a livello istituzionale...

R. – Certo. Queste sono le notizie più recenti: si sa che l’Episcopato turco ha potuto avere degli incontri significativi anche con le autorità turche, e questo tema della libertà religiosa, come anche quello del riconoscimento ufficiale della Chiesa turca, stanno andando verso una buona direzione. Speriamo possano arrivare ad un compimento positivo.







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