A due anni dalla morte in Turchia di mons. Padovese, il ricordo vivo del suo impegno
per il dialogo interreligioso
Due anni fa in Turchia veniva brutalmente assassinato presso la propria abitazione
mons. Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca e vicario apostolico
dell’Anatolia. Si trattò di un omicidio compiuto da un suo stretto collaboratore.
Un evento che colpì uno dei principali esponenti del dialogo interreligioso nel Paese
e che colpì profondamente la comunità minoritaria dei cristiani della Turchia. A fratel
Paolo Martinelli, preside dell’Istituto francescano di spiritualità, amico
e confratello di mons. Padovese, Stefano Leszczynski ha chiesto un ricordo
del prelato scomparso.
R. – Credo che
a due anni dalla morte il suo ricordo sia molto vivo, soprattutto per la sua testimonianza
di vita e di impegno generoso, senza frontiere nell’incontro e nella comunicazione
del Vangelo in modo semplice e quotidiano. Inoltre, credo sia molto vivo anche per
la grande valorizzazione che lui ha fatto dei rapporti con gli ortodossi in primis
ma anche con il mondo musulmano. Credo che la sua rimanga, oggi più che mai, una testimonianza
di cosa voglia dire comunicare il Vangelo ed essere capaci di incontrare tutti, valorizzando
ogni realtà positiva che si può incrociare.
D. – Un impegno che, al momento
della sua morte, ha spinto Benedetto XVI a dire che questo assassinio non può essere
attribuito né ai turchi e né alla Turchia e che non può oscurare, in alcun modo, il
dialogo con l’islam. Due punti sui quali mons. Padovese aveva investito moltissimo...
R.
– Certo. Direi che queste frasi del Santo Padre tendono a valorizzare proprio l’esperienza
stessa di mons. Padovese, questa sua capacità di condividere la vita quotidiana della
realtà turca. Credo che lui abbia veramente amato non solo la Turchia come terra dei
padri della Chiesa, ma proprio la gente, il popolo turco: ha avuto la capacità d’incontrare
le persone, di tessere tanti rapporti e ritrovarsi ad essere così un testimone della
fede, capace di incontrare le persone che vivono il loro impegno nella vita quotidiana.
In questo senso, quindi, la sua è una testimonianza che di certo ci spinge, ancora
oggi, ad approfondire e a valorizzare tutti i rapporti positivi che ci sono.
D.
– Tuttavia la situazione dei cristiani nei Paesi in cui sono in minoranza – e quindi
anche in Turchia, spesso è difficile: ci sono molti ostacoli da superare, talvolta
anche delle vere e proprie ostilità e minacce...
R. – Certo. Vorrei innanzitutto
ricordare che mons. Padovese, nell’ultimo anno della sua vita, si era impegnato molto
in questo senso: il suo impegno era in favore della libertà religiosa e non solo di
quella di culto, proprio perché l’appartenenza ad una religione potesse essere un
atto profondo della libertà e della coscienza della persona. Vorrei poi ricordare
proprio il suo impegno, anche in vista del Sinodo del Medio Oriente, del quale era
stato un grande protagonista nella preparazione: il suo contributo era andato senz’altro
nella direzione di sottolineare l’importanza della valorizzazione delle minoranze
religiose, mettendo in evidenza le difficoltà che i cristiani molto spesso incontrano
in questi Paesi, dove sono una forte minoranza e dove, a volte, non sono neanche riconosciuti
come una minoranza.
D. – Grazie a questa visione possiamo anche dire che la
Chiesa, in Turchia, è riuscita a fare anche alcuni piccoli ma significativi passi
avanti nel rapporto, anche a livello istituzionale...
R. – Certo. Queste sono
le notizie più recenti: si sa che l’Episcopato turco ha potuto avere degli incontri
significativi anche con le autorità turche, e questo tema della libertà religiosa,
come anche quello del riconoscimento ufficiale della Chiesa turca, stanno andando
verso una buona direzione. Speriamo possano arrivare ad un compimento positivo.