Il vescovo di Mantova: la Chiesa vicina alle famiglie terremotate
Erano migliaia i fedeli e i religiosi riuniti, ieri in sera, nel Duomo di Milano per
partecipare all’Adorazione eucaristica guidata dal cardinale Ennio Antonelli, presidente
del Pontificio Consiglio per la famiglia. Un momento di intensa preghiera, nell’ambito
dell’Incontro mondiale delle famiglie, a cui hanno partecipato anche i vescovi provenienti
dalle terre più colpite dal sisma di questi giorni. C'era tra loro anche mons.
Roberto Busti, vescovo di Mantova, che è stato intervistato dalla nostra inviata
a Milano, Antonella Palermo:
R. – Questo
è il primo ringraziamento che faccio: l’aver voluto dedicare, in questo convegno,
l’attenzione e la preghiera a quelle persone che hanno subìto un danno così grave.
Un danno che è, anzitutto, quantificabile non in termini economici ma piuttosto in
termini di paura, di depressione ed in termini di fatica nel comprendere il perché
di essersi trovati in mezzo a questo tipo di realtà. Credo e sono certo che la preghiera
è il modo più evidente, più sicuro e più forte di farci sentire vicini a loro. Proprio
alcune di queste persone che ho incontrato, soprattutto quelle anziane, aveva in mano
il rosario e mi raccontava che diceva il rosario ogni giorno, ma che da adesso doveva
dirne due, perché deve aiutare anche quelli che sono vicini.
D. – Il cardinale
Ravasi, in apertura del Congresso internazionale teologico pastorale, ha usato proprio
la simbologia biblica e letteraria della ‘casa’ per parlare di famiglia partendo dalle
sue fondamenta, ovvero la coppia, parlando poi delle sue pareti, ovvero i figli, che
crescono e vanno verso l’alto, e poi presentando le varie stanze: quella del dolore,
del lavoro, della festa. Quando la casa materiale viene meno, da dove ripartire?
R.
– E’ questa la cosa davvero difficile: quando viene meno, sembra di essere totalmente
soli, di essere allo sbaraglio, di non avere più una protezione. Guai quando viene
a mancare questa casa, eppure questa casa è venuta a mancare. Ed allora è proprio
questo il motivo per cui dobbiamo far sentire la nostra vicinanza. Devo dire anche
un’altra cosa, proprio in rapporto ai simboli che il cardinale Ravasi ha così ben
descritto: ci sono altri simboli, e sono quelli del tempio, della Chiesa, che con
il suo campanile e le sue campane, col suo essere in mezzo al paese, visibile perché
in qualche modo lo sovrasta con l’altezza ma allo stesso tempo lo abbraccia. Sono
caduti anche questi simboli, e la gente è spaventata anche per questo: si chiedono
a chi si rivolgeranno, come potranno trovare qualcuno cui far battezzare i loro bambini,
da cui potersi preparare per celebrare un matrimonio o al quale portare i propri morti
per pregare prima di consegnarli alla terra. Ecco: la preghiera ma anche la solidarietà
delle persone dev’essere qualcosa che fa comprendere a questa gente che non è sola
ma che, un giorno, ritorneremo tutti insieme e speriamo il più presto possibile, nella
casa fatta di mura come anche in questa ‘casa grande’ che è la Chiesa, che ci abbraccia
tutti. Credo che il primo ringraziamento che devo porgere – anche a nome degli altri
vescovi delle diocesi interessate, ossia quelle di Ferrara, di Carpi, di Modena e
di Mantova – va proprio al Pontefice, a Papa Benedetto. Egli ci ha voluto ricevere,
ha chiesto di poterci ricevere ed ha ricevuto soltanto noi durante l’Assemblea della
scorsa settimana, a Roma, della Conferenza episcopale italiana. Ha voluto sapere da
noi come stavano le cose, e noi gli abbiamo detto quelle che erano allora, non sospettando
che ci potesse essere un’altra scossa così grave da rimettere tutto in discussione.
Ci ha fatto avere, quasi immediatamente, un piccolo obolo proprio come simbolo: un
simbolo della sua presenza, per farci sapere che pensa a questi suoi figli che stanno
soffrendo. E devo dire davvero un enorme grazie a Papa Benedetto, perché ripetendo
le sue parole e portando al sua benedizione alle persone che ho visitato, perché avevo
proprio lì la visita pastorale, ho visto che il loro cuore si è aperto, hanno fatto
un grande applauso, come a voler dire: “Se il Papa non ci dimentica, abbiamo meno
paura ed abbiamo più forza per andare incontro a queste difficoltà”.