Benedetto XVI alla Scala: intervista con il direttore artistico Stéphane Lissner
Uno dei momenti più significativi della prima giornata del Papa a Milano è stata la
visita al Teatro alla Scala, in occasione del concerto in suo onore. Sulla presenza
del Pontefice nel luogo simbolo della musica classica, Antonella Palermo ha
intervistato Stéphane Lissner, sovrintendente e direttore artistico del Teatro
alla Scala di Milano:
R. - Prima di
tutto direi che tutto il Teatro è, ovviamente, molto onorato della visita del Santo
Padre, perché è chiaro che, in un momento anche di crisi, di grande difficoltà, è
un evento straordinario sia per il nostro Teatro, sia per la città di Milano. Dico
la città di Milano perché, ovviamente, si sa come è tanto legata la Scala alla sua
città. Per noi, quindi, è un onore e un evento veramente fantastico che, per di più,
al di là di Milano, attraverso ovviamente la televisione, il concerto della Nona di
Beethoven, la presenza del Papa, il suo discorso sul palcoscenico tutto questo sarà
diffuso nel mondo intero.
D. E’ nota la spiccata sensibilità musicale di Benedetto
XVI…
R. Questo, ovviamente, è grazie alla sua nazionalità tedesca: da quattro
secoli, grandi Paesi come Italia, Francia e Germania sono naturalmente i tre grandi
Paesi della musica classica. E quindi è vero il fatto che il Santo Padre è un musicista
ed è chiaro che noi, che cerchiamo sempre di essere all’altezza dell’evento dal punto
di vista musicale, questa volta dovremo esserlo ancora di più!
D. - Come avete
scelto il programma della serata dedicato al Papa?
R. - C’erano due possibilità:
o prendere quattro - cinque pezzi italiani diversi, per fare un programma, oppure
fare la Nona di Beethoven, con l’Inno alla Gioia, ovviamente. E quindi abbiamo optato
per questa scelta, insieme al nostro direttore musicale, Daniel Barenboim, ed un cast
eccezionale, con due grandi artisti italiani – Barbara Frittoli e Daniela Barcellona
– ed altri due artisti come John Botha e René Pape.
D. - Quindi perché questa
scelta?
R. - Ci sono alcuni vincoli, come ad esempio la durata: deve essere
un concerto che non vada troppo al di là di un’ora, un’ora e dieci minuti. E poi abbiamo
pensato, anche attraverso l’idea della famiglia, che l’Inno alla Gioia è un po’ il
prolungamento delle tre giornate dell’Incontro mondiale delle famiglie. Poi, è chiaro
che è stata una scelta legata alla grande musica tedesca. Ci sono ovviamente tante
motivazioni: il messaggio, naturalmente, deve essere un messaggio universale.
D.
- L’arte musicale avvicina alla fede, secondo Lei?
R. - Sì, è un linguaggio
universale. La musica, così come la pittura ad esempio, sono delle arti che hanno
una qualità, più di altre forse, che permette loro di essere capite da tutti. E questo
naturalmente è un punto importante. Barenboim ha deciso di formare un’orchestra con
musicisti palestinesi, arabi, israeliani, proprio per mettere insieme questi due mondi
che non riescono a parlare insieme, a trovare la pace. Poi, io direi anche che dal
punto di vista del nostro momento così difficile, della crisi attuale, è anche per
noi un segnale da dare per confermare che la musica è anche un “cemento sociale”:
riesce a mettere la gente insieme e questo, in questo momento, è ancora più importante.
D. - Un’ultima domanda riguarda proprio i tagli alla cultura che portano in
uno stato di grande sofferenza chi è chiamato a promuoverla. Lei come valuta l’interesse
e il contributo da parte della Chiesa oggi nella diffusione della cultura musicale,
in particolare, soprattutto tra le giovani generazioni?
R. - Ancora una volta,
in questi momenti di difficoltà, è chiaro che si sa bene che la gente ha bisogno sempre
più di cultura, sempre più di riflessione, che sono fondamentali in questo momento,
perché non basta soltanto divertirsi e andare avanti soltanto con un’idea di leggerezza:
la leggerezza è importante, però ci vuole anche attraverso l’arte e la cultura, la
possibilità di riflettere e di cercare di diminuire l’egoismo, l’individualismo della
gente di oggi. Per questo, prima ho parlato di “cemento sociale”: perché la cultura
riesce, giustamente, a mettere la gente insieme e a farla riflettere insieme, a partire
da un libro, da una musica, da una mostra…Tutto può aiutare. E quindi è dovere dello
Stato, è dovere di tutti, naturalmente, aiutare lo sviluppo della cultura e permettere
che un Paese come l’Italia, che ha uno dei più bei patrimoni del mondo, usi questo
patrimonio e permetta a tutti, soprattutto a chi non può permettersi di andare all’Opera
o di andare ad un concerto, di aprire le porte di tutto questo patrimonio, perché
la cultura deve essere per tutti.
D. - Dalla Chiesa vi sentite sostenuti abbastanza?
R. - Ha sempre avuto, con il nostro Teatro e con la nostra cultura in Italia,
un atteggiamento molto forte ed è stata sempre vicina all’arte e alla cultura. Quindi
mi sembra che da secoli sia così.