Nord e Sud Sudan cercano l'accordo sulle zone di confine ricche di petrolio
Sono in corso ad Addis Abeba, in Etiopia, i colloqui di pace tra Nord e Sud Sudan,
con la mediazione dell’Unione Africana. Per l’occasione Khartoum ha ritirato le proprie
truppe, così come già fatto da Juba, dalla regione contesa dell’Abyei. Al centro dei
negoziati il conflitto sulla gestione delle zone di confine ricche di petrolio, che
ha causato lo scontro armato tra i due eserciti e una grave situazione umanitaria.
Anche altre e delicate le questioni da discutere in questi negoziati. Ma che cosa
ha portato Nord e Sud Sudan a questa fase di distensione? Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle Istituzioni
africane all’Università di Torino:
R. – Il cambiamento
fondamentale consiste nel fatto che i colloqui avviati dall’Unione Africana hanno
avuto un primo esito positivo, cioè hanno portato Khartoum – come avevano già fatto
in precedenza le autorità di Juba – a ritirare le proprie truppe da questa regione
contesa. Se non altro sul terreno, la situazione si è leggermente alleggerita e si
può parlare di un discreto segnale di buona volontà. Restano però enormi questioni
da affrontare e da risolvere, di difficilissima soluzione.
D. – Guardando proprio
al futuro dei rapporti tra i due Sudan: al centro, chiaramente, la gestione delle
zone petrolifere di confine. C’è già qualcosa che faccia pensare ad un accordo?
R.
– Il problema fondamentale è che Khartoum non può permettersi di perdere altre risorse
petrolifere. Ha già perso tre quarti di queste risorse, con ripercussioni pesantissime
sulla sua economia e ogni iniziativa da parte del Sud Sudan di rivendicare porzioni
di territorio sulla base di confini tracciati nel passato, è una minaccia per Khartoum
che non può permettersi di accettare. E quindi, la tensione tra questi due Paesi non
si stempererà finché non verrà definita in modo chiaro la linea di confine tra i due
Paesi. E resta la questione del contendere fondamentale a cui bisogna aggiungere lo
status e la posizione delle popolazioni che vivono in queste regioni di confine: una
parte delle etnie che vivono in queste regioni, durante la lunghissima guerra civile
si era schierata con il Sud Sudan e continua a vedere con preoccupazione e malvolentieri
il fatto di rimanere parte del Sudan con capitale Khartoum.
D. – Su tutto questo
pesa la grave situazione umanitaria: sono tantissimi i profughi fuggiti dalle violenze,
per i quali bisogna fare qualcosa …
R. – Sono tantissimi e sono da mesi in
questa situazione. Da questo punto di vista, gli interventi umanitari per fortuna
sono possibili e hanno una certa efficacia. Ma, al di là di questo, la soluzione che
però sembra ancora abbastanza remota, è quella che realmente i due eserciti decidano
di sospendere le ostilità, che si crei eventualmente – come si sta pensando di fare
– una zona cuscinetto in modo da separare le due forze armate e cercare man mano di
riportare queste regioni alla normalità. Bisogna aggiungere un altro problema, che
è quello delle centinaia di migliaia di sud sudanesi che ancora vivono nel Nord e
il cui status è assolutamente critico perché da qualche settimana dovrebbero o riuscire
a dimostrare di avere un lavoro, un’attività o lasciare il Paese. Questo è un altro
fattore di crisi tra i due Stati, perché per il Sud Sudan – parliamo di uno Stato
poverissimo – il rientro di 700 mila persone senza mezzi di sussistenza rappresenta
un altro problema enorme. Altro problema critico è quello del trasporto del greggio
sud-sudanese a Port Sudan, che è il terminale da cui il greggio sud-sudanese può essere
smerciato. Il Nord impone tariffe esorbitanti e il Sud Sudan, infatti, ha in gran
parte sospeso la produzione di greggio perché non accetta queste tariffe.