2012-05-30 15:23:00

Nord e Sud Sudan cercano l'accordo sulle zone di confine ricche di petrolio


Sono in corso ad Addis Abeba, in Etiopia, i colloqui di pace tra Nord e Sud Sudan, con la mediazione dell’Unione Africana. Per l’occasione Khartoum ha ritirato le proprie truppe, così come già fatto da Juba, dalla regione contesa dell’Abyei. Al centro dei negoziati il conflitto sulla gestione delle zone di confine ricche di petrolio, che ha causato lo scontro armato tra i due eserciti e una grave situazione umanitaria. Anche altre e delicate le questioni da discutere in questi negoziati. Ma che cosa ha portato Nord e Sud Sudan a questa fase di distensione? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei Paesi e delle Istituzioni africane all’Università di Torino:RealAudioMP3

R. – Il cambiamento fondamentale consiste nel fatto che i colloqui avviati dall’Unione Africana hanno avuto un primo esito positivo, cioè hanno portato Khartoum – come avevano già fatto in precedenza le autorità di Juba – a ritirare le proprie truppe da questa regione contesa. Se non altro sul terreno, la situazione si è leggermente alleggerita e si può parlare di un discreto segnale di buona volontà. Restano però enormi questioni da affrontare e da risolvere, di difficilissima soluzione.

D. – Guardando proprio al futuro dei rapporti tra i due Sudan: al centro, chiaramente, la gestione delle zone petrolifere di confine. C’è già qualcosa che faccia pensare ad un accordo?

R. – Il problema fondamentale è che Khartoum non può permettersi di perdere altre risorse petrolifere. Ha già perso tre quarti di queste risorse, con ripercussioni pesantissime sulla sua economia e ogni iniziativa da parte del Sud Sudan di rivendicare porzioni di territorio sulla base di confini tracciati nel passato, è una minaccia per Khartoum che non può permettersi di accettare. E quindi, la tensione tra questi due Paesi non si stempererà finché non verrà definita in modo chiaro la linea di confine tra i due Paesi. E resta la questione del contendere fondamentale a cui bisogna aggiungere lo status e la posizione delle popolazioni che vivono in queste regioni di confine: una parte delle etnie che vivono in queste regioni, durante la lunghissima guerra civile si era schierata con il Sud Sudan e continua a vedere con preoccupazione e malvolentieri il fatto di rimanere parte del Sudan con capitale Khartoum.

D. – Su tutto questo pesa la grave situazione umanitaria: sono tantissimi i profughi fuggiti dalle violenze, per i quali bisogna fare qualcosa …

R. – Sono tantissimi e sono da mesi in questa situazione. Da questo punto di vista, gli interventi umanitari per fortuna sono possibili e hanno una certa efficacia. Ma, al di là di questo, la soluzione che però sembra ancora abbastanza remota, è quella che realmente i due eserciti decidano di sospendere le ostilità, che si crei eventualmente – come si sta pensando di fare – una zona cuscinetto in modo da separare le due forze armate e cercare man mano di riportare queste regioni alla normalità. Bisogna aggiungere un altro problema, che è quello delle centinaia di migliaia di sud sudanesi che ancora vivono nel Nord e il cui status è assolutamente critico perché da qualche settimana dovrebbero o riuscire a dimostrare di avere un lavoro, un’attività o lasciare il Paese. Questo è un altro fattore di crisi tra i due Stati, perché per il Sud Sudan – parliamo di uno Stato poverissimo – il rientro di 700 mila persone senza mezzi di sussistenza rappresenta un altro problema enorme. Altro problema critico è quello del trasporto del greggio sud-sudanese a Port Sudan, che è il terminale da cui il greggio sud-sudanese può essere smerciato. Il Nord impone tariffe esorbitanti e il Sud Sudan, infatti, ha in gran parte sospeso la produzione di greggio perché non accetta queste tariffe.







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