Napolitano in Friuli rende omaggio alle vittime dell'eccidio di Porzus
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è recato ieri in visita in
Friuli. Al centro della giornata l’omaggio, nel comune di Faedis, alle vittime dell’eccidio
avvenuto nella vicina malga di Porzus, nel febbraio del 1945, quando diciotto partigiani
della brigata Osoppo e una donna, vennero uccisi a tradimento dai “gappisti”, i partigiani
italiani comunisti, su ordine del IX Corpus sloveno e con il consenso del Pci di
Udine. Si tratta di uno degli episodi più gravi della Resistenza italiana a lungo
ignorato o ideologicamente viziato da politici e storici. Ma che cosa non si poteva
raccontare finora di questa drammatica pagina? Adriana Masotti lo ha chiesto
a Tommaso Piffer, storico all’Università degli Studi di Milano, curatore del
volume: “Violenza e Resistenza sul confine orientale”. R. - La storia
dell’eccidio di Porzus risultava particolarmente delicata, perché metteva in crisi
uno dei capisaldi della narrazione che il partito comunista italiano dava della sua
storia: quella di un partito dedito alla difesa degli interessi nazionali. Porzus
mostra, che in questa zona d’Italia, accadde qualcosa di diverso, perché a partire
dall’ottobre del 1944, su direttiva di Togliatti, il partito comunista si appiattisce
sulle posizioni jugoslave, in virtù della comune appartenenza ideologica del Partito
comunista italiano e quello jugoslavo. In questo contesto, matura anche l’eccidio
di Porzus, che veniva appunto a mettere in luce un nodo particolarmente delicato della
storia del Pci.
D.- Perché è importante, invece, fare verità su questa pagina
oscura? Napolitano l’ha definita aberrazione, una macchia della Resistenza italiana..
R.
- È importante, perché non esiste riconciliazione possibile senza verità. Quello che
si richiede agli storici è di mettere da parte i pregiudizi ideologici, ed affrontare
queste pagine con l’ausilio della documentazione disponibile, un’operazione ormai,
che soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda e poi in anni recenti, è sempre più
comune.
D. – Qual è l’importanza che sia proprio un capo di Stato a ricordare
le vittime di questa strage?
R. - È importante perché per 60 anni, le vittime
di Porzus, sono state oggetto di una campagna diffamatoria volta a farle apparire
come collaborazioniste dei fascisti. La visita di Napolitano ha una straordinaria
importanza, perché riconosce, in modo ufficiale, il sacrificio di questi uomini per
la difesa, invece, della libertà del Paese e del confine nazionale. Quindi è molto
importante il valore simbolico che il riconoscimento di questo sacrificio acquisisce.
D.
- Si può parlare oggi, anche dopo questa visita, di una riappacificazione avvenuta
oppure è ancora una ferita aperta che ancora deve essere rimarginata completamente?
R.
- Da un certo punto di vista, credo poco all’idea della memoria condivisa, perché
memorie che sono divise all’origine, difficilmente si riuniscono. Solo il passare
del tempo, il passare delle generazioni sana questo tipo di ferite. Quindi non si
tratta di unire quello che era diviso all’origine. Il lavoro dello storico è un altro:
quello di permettere, con il passare del tempo, di affrontare con più serenità questi
nodi. Da questo punto di vista, la condivisione non è tanto sulla memoria, ma proprio
sul tipo di ricerca storica che abbiamo a cuore; una ricerca storica che si basi sui
documenti svincolati da vizi ideologici e ricatti politici. Da questo punto di vista,
è possibile una riconciliazione. Il volume che ho avuto l’onore e l’occasione di curare
su Porzus”, edito quest’anno da “il Mulino”, ha proprio per scopo quello di far dialogare
storici di diverse estrazioni culturali, partendo appunto da una condivisione sul
metodo e sull’amore della verità prima di tutto.
D. - Poi dalla verità si
può partire anche per guardare al futuroe quindi a rapporti di dialogo con i popoli
confinanti...
R. - Sì. É soltanto con un pieno riconoscimento di quello che
è successo, che si può guardare al futuro con serenità e fiducia.