Egitto nel caos: migliaia di manifestanti a Piazza Tahrir contro i risultati delle
presidenziali
Egitto nel caos. Piazza Tahrir, al Cairo, è tornata a ripopolarsi di migliaia di manifestanti,
dopo l’annuncio dei risultati delle presidenziali, che hanno visto la vittoria del
leader dei "Fratelli Musulmani", Morsi, e dell’ex premier di Mubarak. Shafiq, il cui
ufficio elettorale è stato incendiato nella notte. Saranno loro a contendersi il ballottaggio.
Chiunque sarà il vincitore, dunque, non rappresenterà le istanze di tutti coloro che
nei mesi scorsi hanno manifestato fino a determinare la caduta di Mubarak. Salvatore
Sabatino ha chiesto a Vincenzo Strika, direttore dell’Istituto per l’Oriente,
se c’è il rischio, a questo punto, che l’Egitto possa davvero infiammarsi:
R. – Speriamo
di no, anche perchè l'Egitto è un Paese che ha già tanti problemi. La comunità internazionale
dovrebbe intervenire per mantenere buoni rapporti, incoraggiare l’economia, perché
poi tutte queste rivolte sono incominciate come “rivolte del pane”: quando si tocca
l’essenziale degli alimenti, la gente protesta, se la prende con chi è al governo.
La periferia del Cairo, ad esempio, è una cosa tremenda: molti anni fa, il quartiere
di Embaba, che è un quartiere periferico, praticamente fu sedato con l’intervento
di 15 mila militari. Sono in quartieri come questi che i problemi economici sono enormi
ed hanno un gran peso per la stabilità.
D. – I generali che in principio erano
visti come i modernizzatori dell’Egitto, oggi sono una casta ricchissima di privilegiati
che detiene tutto il potere politico ed economico di questo Paese …
R. – E'
vero. Rilanciano anche l’industria militare, in collaborazione con gli Stati Uniti
… Gli Stati Uniti hanno cercato di guidare questi cambiamenti politici. Qualcuno ha
detto: sostituiamo i vecchi generali con quelli più giovani. La politica americana
tende alla democrazia e la democrazia dovrebbe – teoricamente – mantenere stabilità,
e questa è una cosa bella. Però, la stabilità della democrazia c’è fino a quando non
c’è forte disoccupazione.
D. – L’Egitto è stato da sempre l’ago della bilancia
per l’intera area mediorientale. Questi cambiamenti potranno influire sugli equilibri
già fragili dei Paesi che lo circondano?
R. – Certamente sì. Naturalmente,
non bisogna dimenticare che esistono anche altri Paesi importanti nell'area, come
l’Arabia Saudita, che – insomma – ha un suo peso, un peso economico, non indifferente,
e che tra l'altro ha legami con i "Fratelli musulmani" anche egiziani, che ricevono
fondi da quella parte …
D. – Invece, sul fronte israelo-palestinese?
R.
– Non esistono le condizioni per una nuova guerra; esistono le condizioni per situazioni
di attrito. Probabilmente sono già incominciate le prime tensioni, tipo gli attentati
al gasdotto che viene dal Sinai verso la Giordania e Israele: lì ci sono stati, mi
sembra, tre attentati. E’ una pace non-pace.