Medici con l’Africa Cuamm accanto alle mamme del continente: salvando loro si salvano
due vite
Si chiama “Prima le donne e i bambini” la campagna di sensibilizzazione organizzata
da Medici con l’Africa Cuamm che fino a questa domenica è in 50 piazze italiane per
promuovere il diritto delle mamme africane alla salute, ad avere un parto gratuito
e sicuro. L’evento coincide con la quarta edizione dell’African Day. Ce ne parla Roberta
Barbi:
Cinque giornate
di mobilitazione da Roma a Torino, da Milano a Bari e a Vicenza, in seno al Festival
Biblico, e nella città “natale” di Medici con l’Africa Cuamm, Padova, all’interno
della Festa dei Popoli. Centinaia di volontari uniti da un unico scopo, salvare le
donne africane che partoriscono in zone prive di strutture e i loro bambini, e in
un unico grande evento, come ci racconta il responsabile del settore Relazioni con
il territorio dell’organizzazione, Jacopo Soranzo:
“È una campagna
che abbiamo lanciato a Padova e riguarda in particolare le mamme ed i bambini. Noi
vogliamo andare ad incidere in Africa, sulla mortalità delle mamme al momento del
parto, vogliamo - attraverso questa mobilitazione dell’African Day nelle piazze italiane
- portare all’attenzione delle persone questo grave problema, chiedendo alle persone
stesse di metterci la faccia, scattandosi una foto con una maglietta – prima le mamme
ed i bambini che possono indossarla o metterla davanti – per testimoniare l’esigenza
di assumersi questo problema e di tentare di risolverlo”.
Giunta alla
sua terza edizione, l’iniziativa è stata organizzata in concomitanza con la Giornata
mondiale per l’Africa, istituita a sua volta in ricordo della fondazione dell’Unione
Africana, il 25 maggio del 1963, come spiega ancora Jacopo Soranzo:
“Vorremo
cogliere l’occasione di questa giornata internazionale – dedicata all’Africa – per
portare alla ribalta, appunto, l’Africa, in ricordo di tutta quell’ondata di decolonizzazione
che c’è stata. Ci è sembrata la giornata giusta, per unirci a un movimento che è anche
internazionale, in ricordo dell’Africa”.
I dati sono allarmanti: se in
Italia ogni 100mila parti muoiono 12 mamme, in alcune aree dell’Africa come il Sud
Sudan, il numero è 170 volte più alto. Il dott. Giovanni Putoto, responsabile
della Programmazione di Medici con l’Africa Cuamm, illustra quali sono le zone più
a rischio:
“Sono quelle dei Paesi fragili, che sono in stato di guerra o
che sono appena usciti da lunghi periodi di conflitto interno e internazionale. Il
Sud Sudan - dove il Cuamm è presente - è uno di questi, ma mi viene in mente anche
la Sierra Leone, l’Angola, l’Uganda, il Mozambico che – grazie a Dio – cominciano
a guardare, con un certo distacco, gli anni delle guerre civili”.
In tutti
questi Paesi aspetti naturali della vita, come partorire un bambino, possono diventare
autentiche tragedie perché mancano le strutture adeguate, eppure, secondo l’organizzazione,
presente in 15 ospedali africani, basterebbero 40 Euro per garantire un parto gratuito
e salvare, così, due vite:
“Quello che fa Medici con l’Africa Cuamm, è di
andare a lavorare in questi contesti, dove vivono le famiglie, dove vivono le comunità
e dove mancano, innanzitutto, le strutture sanitarie. Quindi, si tratta – con le comunità
e le istituzioni locali – di fare un percorso insieme, per cominciare a costruire
questi centri, fornire i primi servizi alle famiglie ed alle donne, assisterle durante
il parto, avere un ospedale per fare un taglio cesareo e per portare poi un rafforzamento
delle strutture sanitarie, attraverso la formazione del personale locale”.
Gli
operatori di Medici per l’Africa Cuamm da 60 anni si occupano di cooperazione sanitaria
nel continente africano. Il dott. Putoto ha vissuto per 10 anni tra Uganda e Rwanda
e ha voluto condividere con noi un suo ricordo personale di una domenica trascorsa
con sua moglie in un villaggio sperduto, di quelli che l’organizzazione definisce
“l’ultimo miglio”. È il racconto di un gesto semplice, molto radicato nella cultura
africana – ci spiega – di quei gesti che danno la forza per andare avanti:
“Eravamo
stati invitati a passare una giornata assieme ad un gruppo di volontari tedeschi,
in una zona molto dispersa ed isolata. Lì, poco dopo, si presentò un giovane uomo
che portava due polli in dono, perché mi aveva riconosciuto – avevo fatto il cesareo
a sua moglie – così loro avevano potuto avere un bambino; poi mi disse che gli avevano
dato il mio nome: Giovanni”.