Scontri in Sudan: riprendono i negoziati tra Nord e Sud
Nord e Sud Sudan torneranno al tavolo delle trattative martedì 29 maggio. Dopo quasi
un anno di conflitto a bassa intensità tra Khartoum e Juba, i leader dei due Paesi
hanno accolto l’invito dell’Unione Africana a riallacciare il dialogo per risolvere
le numerose controversie che li separano. All’inizio del mese anche il Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite aveva esercitato pressioni sui due governi minacciando
pesanti sanzioni se non fossero giunti ad un cessate il fuoco e non avessero rilanciato
le trattative. Sui temi al centro dei negoziati l'intervista di Stefano Leszczynski
a Giovanni Sartor dell’Ong Mani Tese e portavoce della Campagna italiana
per il Sudan:
R. – Diciamo
che i termini della questione continuano ormai da alcuni mesi e riguardano le problematiche
legate all’indipendenza del Sud Sudan. Nel momento in cui il Paese è diventato indipendente,
è emersa tutta una serie di questioni relative ad esempio alla gestione del petrolio:
il fatto che la maggior parte dei pozzi di petrolio si trovano in Sud Sudan mentre
gli oleodotti ed i porti da cui esportare il petrolio sono nel Nord; il tema dei confini,
che non sono ancora stati esattamente definiti dagli accordi di pace precedenti tra
i due Paesi; la regione di Abyei, che resta una regione-cuscinetto tra i due Stati.
Ed inoltre il problema della cittadinanza o non cittadinanza delle persone dei rispettivi
Paesi che si trovano nel Paese opposto: vi sono ancora molti sud-sudanesi in Nord
Sudan come anche nord-sudanesi in Sud Sudan e, al momento, non c’è una norma che dà,
a queste persone, uno status diverso da quello di stranieri.
D. – Nonostante
questi negoziati debbano riprendere tra pochissimi giorni, in particolare il 29 maggio,
i diplomatici occidentali esprimono un certo scetticismo per quanto riguarda un buon
avvio di queste trattative. E’ lecito essere scettici o si tratta comunque di un segnale
incoraggiante?
R. – A nostro avviso si tratta sicuramente di un segnale incoraggiante,
con la consapevolezza che il curriculum delle trattative tra i due Paesi, in questo
ultimo periodo – ormai è passato quasi un anno dall’indipendenza del Sud – non lascia
molto ben sperare. Queste questioni sono sul tappeto già da molto tempo e non è mai
emersa, da parte degli interlocutori, la volontà di risolvere davvero queste cose.
Una ripresa delle trattative, quindi, è certamente positiva perché prevede un cessate
il fuoco e, dal punto di vista dei civili, ad esempio, è un elemento davvero importante
e fondamentale. Che queste trattative abbiano un esito positivo nel breve periodo,
è chiaro che resta problematico, è un dubbio molto forte.
D. – L’Unione africana
è mediatore nella crisi tra il Sudan ed il Sud Sudan. Il fatto che questi due Paesi
abbiano deciso, almeno ufficialmente, di tornare al tavolo delle trattative, è effettivamente
dovuto ad un cambio di regime dell’Unione africana rispetto alle crisi a livello regionale
o siamo ancora di fronte ad un’Unione africana che non riesce ad imporsi?
R.
– In questo caso teniamo conto dell’impegno di Thabo Mbeki, che è il mediatore e che,
certamente, è una figura di primo piano a livello non solo africano ma internazionale,
ed è anche ex presidente del SudAfrica. Da questo punto di vista, devo dire che l’Unione
Africana sta mettendo il naso un po’ su tutte le crisi africane ed è anche riconosciuta
dalla comunità internazionale con un ruolo primario di mediazione e di conciliazione
tra le diverse posizioni. Che poi questo impegno porti a degli effettivi e reali risultati,
secondo noi è ancora un po’ da provare. Bene l’impegno e positivo è il fatto che ci
sia più coinvolgimento, che anche la comunità internazionale appoggi una mediazione
africana per i conflitti africani, ma sono ancora da valutare i risultati concreti
e reali ottenuti sul terreno da questo lavoro di mediazione.