Al Teatro dell'Opera di Roma, l'Attila di Giuseppe Verdi
Va in scena questa sera al Teatro dell’Opera di Roma, con repliche fino al 5 giugno,
un nuovo allestimento di “Attila”, opera giovanile di Verdi diretta da Riccardo Muti,
che da sempre ama e molte volte ha affrontato questo sanguigno e risorgimentale titolo
verdiano. Regia, scene e costumi sono affidati a Pier Luigi Pizzi che rilegge l’opera
allontanandosi dalla tradizione storica e rivalutando il re degli Unni nella sua dimensione
lirica, drammatica ed eroica. Il servizio di Luca Pellegrini:
Un coro di vergini
e fanciulli accompagna Papa Leone, che gli è apparso in sogno come un “immane veglio”
mentre gli afferra la chioma imponendogli di arretrare perché “or chiuso è il varco:
questo de’ numi è il suol”: è il famosissimo incontro tra il re degli Unni dalla pessima
fama, Attila, e l’anziano vescovo di Roma che, secondo tradizione, salvò la città
eterna dal saccheggio. Lo spirito dello scontro di civiltà, della tutela dalla sacralità
dell’Urbe, al pari, come vuole ogni melodramma, di affetti non corrisposti, animano
tutta l’opera giovanile di Verdi. Che Pier Luigi Pizzi disegna e allestisce
con la sua eleganza notissima, ma anche qualche aggiornamento nella visione usuale
e risorgimentale della storia. Perché tra Unni e Romani, sembra rivalutare certamente
i primi:
R. - E’ assolutamente così e tutto questo passa più che attraverso
gli Unni, attraverso il personaggio di Attila, che io non dico che voglio riabilitare,
perché ci ha già pensato Verdi e anche Solera che ha lavorato con lui. Basta leggere
attentamente il libretto, basta sentire la musica per capire che è tutto tranne che
un barbaro: è un uomo di grandi sentimenti, di grande nobiltà, è l’unico tra gli altri
vari personaggi dell’opera che mantenga coerentemente dal principio alla fine un senso
della fedeltà, della lealtà, è un vero guerriero, è un vero politico ed è perfino
in grado di avere una crisi spirituale quando il sant’uomo che è Leone lo ferma alle
porte di Roma e lui che ha anche un momento naturale di sfida di fronte a questo avvertimento
divino, però poi cede, sente che c’è una forza più grande di lui e a questa si inchina.
Ce n’è abbastanza per fare di questo personaggio un personaggio di grande statura.
D.
- E come ha immaginato l’arrivo misticheggiante e arcano di Papa Leone che intima
ad Attila di fermarsi e desistere dai suoi bellicosi propositi?
R. – Anni fa,
quando lo feci al Maggio Musicale Fiorentino, Leone arrivava in un campo di grano.
Era un’immagine molto bella di grande serenità, piena di luce, in questo caso, data
una lettura più concettuale che io do a quest’opera, è un uomo alonato di luce ed
è solo sulla scena insieme con Attila: cioè, si può credere che Attila sta dentro
la sua visione e non è in una situazione realistica. Quindi è proprio uno scontro
tra questi due personaggi: Attila, il re, e quest’uomo che rappresenta la divinità
in qualche modo.