Mongolia: le difficoltà di una Chiesa che cresce in un territorio difficile
La Chiesa in Mongolia cresce costantemente, ma lentamente e tra molte difficoltà:
questa la “fotografia” scattata da padre Kuafa Hevré, parroco della Cattedrale dei
Santi Pietro e Paolo di Ulan Bator. In una nota diffusa da “Aiuto alla Chiesa che
soffre”, il missionario racconta: “Oggi in Mongolia l’annuncio della fede avviene
solo all’interno delle Chiese; i giovani fino a 16 anni non possono frequentare il
catechismo senza il consenso scritto dei genitori e i sacerdoti non indossano l’abito
talare in pubblico, perché non devono essere riconosciuti come esponenti del clero”.
“La nostra è una Chiesa tormentata – continua padre Hevré – e la sfida più grande
è abituarsi alla percezione che in molti hanno della Chiesa cattolica: una realtà
straniera». La Costituzione mongola, infatti, risalente al 1992, riconosce formalmente
il diritto alla libertà religiosa, ma ogni gruppo di fedeli deve essere registrato,
previa autorizzazione del consiglio comunale. Una registrazione che permette al governo
di limitare il numero dei luoghi di culto e quello dei sacerdoti, considerato anche
il fatto che la maggioranza della popolazione è buddista. Malgrado le difficoltà,
però, padre Hervé, insieme ad altri 69 sacerdoti ed al vescovo, mons. Wenceslao Selga
Padilla, non si lascia abbattere e si appresta a festeggiare, il prossimo luglio,
il ventesimo anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra Mongolia
e Santa Sede. Dal 1992 la comunità cattolica è cresciuta, “lentamente ma costantemente”,
afferma il parroco di Ulan Bator, ed i circa 800 cattolici – su un totale di due milioni
e 700mila abitanti - dispongono di quattro parrocchie: tre nella capitale ed una a
Darhan. “Entro quest’estate – conclude il religioso – vogliamo inaugurarne altre tre”,
perché “sotto molti aspetti il nostro lavoro è appena agli inizi: dobbiamo ancora
insegnare alle persone il valore di una relazione personale con Dio”. (I.P.)