Abusi su minori. Il prof. Cardia: lettura parziale del documento Cei da parte di alcuni
media
Continua il dibattito sulle Linee guida presentate dalla Conferenza episcopale italiana
circa l’atteggiamento e le misure da adottare nel contrasto di eventuali reati sessuali
commessi a danno di minori da parte di chierici. Un documento che ha suscitato delle
polemiche nella stampa laica per l’assenza, a carico dei vescovi italiani, di un’obbligatorietà
giuridica di sporgere denuncia qualora vengano a conoscenza di casi di molestie contro
i minori. A chiarire la portata del documento della Conferenza episcopale italiana
è il prof. Carlo Cardia, docente di diritto ecclesiastico presso l’Università
di Roma Tre. L’intervista è di Stefano Leszczynski.
R. – Il primo
punto che io sottolineerei è che questo documento – le Linee guida della Conferenza
episcopale – comportano un impegno totale della Chiesa italiana nell’affrontare quello
che è un dramma e che è, usando proprio le parole di Benedetto XVI, “uno scandalo
nello scandalo”: la pedofilia e gli abusi sui minori sono già di per sé uno scandalo,
ma nella Chiesa lo sono ancora di più. Noi vediamo che queste Linee guida propongono
qualcosa di più di una linea meramente giuridica e le cito soltanto due fatti. Il
primo è che la Chiesa e i vescovi in prima persona sono impegnati, oltre i doveri
giuridici, ad andare incontro alle vittime e alle loro famiglie per far tutto quello
che è possibile per riparare alla drammaticità delle situazioni. Quindi un intervento
di sostegno e di aiuto attivo della Chiesa e dei vescovi nei confronti delle vittime.
Il secondo punto, che non è stato sottolineato, è che vi è una durezza giusta e sacrosanta
nei confronti di coloro che si rendano colpevoli di questi abusi nell’allontanarli
sempre e comunque da qualsiasi rapporto con i minori e quindi nell’evitare anche la
possibilità, la potenzialità, del ripetersi del reato e della colpa, perché stiamo
parlando della Chiesa. Questi aspetti, per esempio, non sono stati messi in rilievo,
perché si è data una lettura – io credo – un po’ parziale, un po’ affrettata di questo
documento.
D. – Quindi, in sostanza, c’è stato un rafforzamento sia di quello
che è l’impegno morale in campo civile e in campo pastorale, sia un rafforzamento
di quelli che sono gli obblighi secondo il diritto canonico, il diritto della Chiesa?
R.
– C’è stato un rafforzamento ed una presa di responsabilità diretta dei vescovi, perché
ai vescovi è chiesto di mettere in atto immediatamente queste misure di sostegno e
di intervento punitivo o comunque preventivo per il futuro. Anche con riferimento
a quello che è stato scritto sui giornali circa l’obbligatorietà della denuncia, bisogna
essere più precisi: il fatto che non vi sia l’obbligo della denuncia deriva soltanto
dal fatto che questo scaturisce dalla legislazione italiana, ma non vuol dire affatto
che i vescovi non possano denunciare i reati. Questo lo ha messo bene in luce mons.
Crociata, quando ha detto piuttosto che nella prassi ordinaria, nella maggioranza
dei casi – perché bisogna anche distinguere i casi più gravi da quelli minori – vi
è la prassi di denunciare anche all’autorità giudiziaria. In ogni caso, oltre questa
prassi, vi è l’obbligo di una piena collaborazione dei vescovi - e quindi di tutti
coloro che sono in qualche modo a conoscenza del fatto - con l’autorità giudiziaria
che si occupa della materia. Si aggiunge infine che le vittime, naturalmente, non
devono mai essere non solo distolte, ma nemmeno condizionate dal proporre l’azione
necessaria a livello civile e penale.