Udienza generale. Il Papa: per Dio non siamo figli anonimi, lo Spirito ci insegna
a chiamarlo Padre
Imparare a essere “amici di Dio” e a “invocarlo con confidenza”. È stato questo il
fine della catechesi che ieri mattina, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha tenuto
nel corso dell’udienza generale alle oltre 20 mila persone presenti. Una catechesi
incentrata sullo Spirito Santo, definito “il grande maestro della preghiera”. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
La considerazione
di partenza della densa riflessione del Papa sul modo di pregare Dio parte da una
constatazione realistica, ovvero da quella incolmabile distanza che l’essere umano,
e molto spesso anche il credente, avverte tra sé e il cielo:
“Forse l’uomo
d’oggi non percepisce la bellezza, la grandezza e la consolazione profonda contenute
nella parola ‘padre’ con cui possiamo rivolgerci a Dio nella preghiera, perché la
figura paterna spesso oggi non è sufficientemente presente, anche spesso non è sufficientemente
positiva nella vita quotidiana. L'assenza del padre, il problema di un padre non presente
nella vita del bambino è un grande problema del nostro tempo, perciò diventa difficile
capire nella sua profondità che cosa vuol dire che Dio è Padre per noi”.
Invece,
ha osservato Benedetto XVI citando San Paolo, il cristiano non ha ricevuto uno spirito
da schiavo. Può rivolgersi a Dio con la “fiducia” dei bambini, con quella “relazione
filiale analoga a quella di Gesù”. Ma per farlo, ha sottolineato, è necessario che
sia lo Spirito Santo a insegnargli come parlare, Lui che “è il grande maestro della
preghiera”:
“Lo Spirito Santo è il dono prezioso e necessario che ci rende
figli di Dio, che realizza quella adozione filiale a cui sono chiamati tutti gli esseri
umani (…) Il cristianesimo non è una religione della paura, ma della fiducia e dell'amore
al Padre che ci ama”.
Come Gesù ha aperto all’uomo le porte del cielo,
lo Spirito Santo apre le porte dell’anima dell’uomo e lo aiuta a comprendere ciò che
non lo sarebbe senza il suo aiuto, l’amore sconfinato che lega il Figlio al Padre
e che è modello per il nostro rapporto con Dio:
“Egli è l’Amore, e anche
noi, nella nostra preghiera di figli, entriamo in questo circuito di amore, amore
di Dio che purifica i nostri desideri, i nostri atteggiamenti segnati dalla chiusura,
dall’autosufficienza, dall’egoismo tipici dell’uomo vecchio”.
La “paternità
di Dio”, ha proseguito Benedetto XVI, ha “due dimensioni”: quella per cui ogni uomo
e ogni donna “è un miracolo” di Dio in quanto Creatore, ma anche l’altra per cui Dio
ci ha creati a sua immagine e quindi la sua non è una paternità lontana, distaccata.
Per Dio, ha detto il Pontefice, “non siamo esseri anonimi e impersonali, ma abbiamo
un nome”:
“Certo il nostro essere figli di Dio non ha la pienezza di Gesù:
noi dobbiamo diventarlo sempre di più, lungo il cammino di tutta la nostra esistenza
cristiana, crescendo nella sequela di Cristo, nella comunione con Lui per entrare
sempre più intimamente nella relazione di amore con Dio Padre, che sostiene la nostra
vita”.
Infine, Benedetto XVI ha spiegato che non esiste preghiera dell’uomo
a Dio se non è lo Spirito a invocare Dio per bocca dell’uomo. La ricerca dell’assoluto
nell’uomo, ha osservato, esiste fin dal tempo dell’Homo sapiens. Ma è dopo la Rivelazione
di Cristo al mondo e l’istituzione della Chiesa che questa ricerca è entrata in una
nuova dimensione:
“Quando ci rivolgiamo al Padre nella nostra stanza interiore,
nel silenzio e nel raccoglimento, non siamo mai soli. Chi parla con Dio non è solo.
Siamo nella grande preghiera della Chiesa, siamo parte di una grande sinfonia che
la comunità cristiana sparsa in ogni parte della terra e in ogni tempo eleva a Dio
(...) Ogni volta, allora, che gridiamo e diciamo: ‘Abbà! Padre!’ è la Chiesa, tutta
la comunione degli uomini in preghiera che sostiene la nostra invocazione e la nostra
invocazione è invocazione della Chiesa”.
L’udienza generale è poi proseguita
con la consueta sintesi delle catechesi in altre lingue ed è stata conclusa dai saluti
ai vari gruppi radunati nel colonnato del Bernini, tra i quali quelli provenienti
dalle città di Nola e di Enna, dell’associazione “Ragazzi in gamba”, che festeggia
i 50 anni di attività, e del Comitato “Cittadini attraverso lo Sport” per l’accensione
della fiaccola in partenza per Napoli.