2012-05-23 15:48:39

RD Congo: scontri e 100 morti in nord Kivu. Mons. Ambongo: la violenza la pagano i poveri


Nella Repubblica Democratica del Congo, sono stati oltre 100 in una settimana i morti nella regione del nord Kivu, ma ad essere instabile è tutto l’est del Paese. Anche la Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) ha da tempo emesso mandati contro vari signori della guerra. Su questa situazione, Davide Maggiore ha raccolto la testimonianza di mons. Fridolin Ambongo Besungu, vescovo della diocesi congolese di Bokungu-Ikela:RealAudioMP3

R. – Questo problema non è un problema nuovo: è nato dalla ribellione di Laurent Nkunda e poi, dopo di lui, di un altro, che si chiamava Bosco Ntanganda. Entrambi hanno ricevuto un mandato dalla Cpi. Basterebbe prendere questa gente e mandarla lì, per essere giudicata. Sono criminali e devono essere arrestati, per rispondere di ciò che hanno fatto. Adesso Bosco Ntanganda ha iniziato la guerra nell’est e si è ribellato contro il governo. Dunque, sono sempre i poveri a pagare.

D. – Ufficialmente, la guerra nella Repubblica Democratica del Congo è conclusa da quasi dieci anni e c’è in corso un processo di pace. Cos’è che però non ha funzionato?

R. – Si può dire che la guerra sia finita dieci anni fa perché dopo ci sono state due elezioni problematiche, ma ci sono state. Il problema, nell’est del Congo, è sempre stato quello dei gruppi armati che vivono dello sfruttamento delle risorse naturali. Per questo motivo, non vogliono lasciare e qualcuno ne approfitta dandogli le armi per continuare a fare la guerra. E per fare la guerra, devono sfruttare le risorse naturali. E' un ciclo che continua: hanno bisogno della guerra per guadagnare i soldi, quindi per guadagnare hanno bisogno delle armi e per avere le armi hanno bisogno delle risorse naturali. C’è, dunque, una mafia internazionale da noi.

D. – Cosa cerca di fare la Chiesa per aiutare quanti sono vittime di questo conflitto?

R. – Noi lavoriamo a due livelli. Il primo livello, è internazionale: per parlare con i capi del mondo siamo stati negli Stati Uniti, a Washington, a New York e poi a Parigi, per quella che chiamiamo “advocacy”. A livello locale, abbiamo un programma che chiamiamo “programma di riconciliazione”, che aiuta il popolo a vivere insieme anche a quelli che “ieri mi hanno fatto male”. E’ un programma che noi portiamo in tutte le diocesi del Congo, per aiutare il popolo a vivere insieme agli altri. Anzitutto nell’est del Paese, lì dove ci sono persone venute dal Rwanda, dall’Uganda, dal Burundi e poi i congolesi. Ma sappiamo anche che, al di fuori di questi conflitti, sono i capi a “mettere fuoco” fra i popoli.

D. – In questa situazione così grave, che va avanti da tanto tempo, la Chiesa vede un segno di speranza?

R. – I segni di speranza sono tanti, perché il futuro del Congo è la popolazione: sono le donne, gli uomini, i bambini che sono lì e lottano ogni giorno per sopravvivere. Questa volontà di vivere è un valore enorme. Dopo tanti anni di guerra in Congo, un segno di speranza per il futuro del Congo è il popolo congolese stesso.







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