Il cardinale Vegliò con i rifugiati di Narni: “emigrare non è mai indolore”
Tracciare nella società di oggi “un vero itinerario di reciproco rispetto e di coesione
sociale”. È l’auspicio del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che oggi nella concattedrale
di Narni, dedicata a San Giovenale, ha presieduto la celebrazione eucaristica, prima
dell'annuale pranzo con i poveri, i rifugiati politici e quanti versano in condizioni
di povertà, provenienti da diversi luoghi di accoglienza della diocesi di Terni-Narni-Amelia.
Salutando il vescovo, monsignor Vincenzo Paglia, e i partecipanti, l’omelia del porporato
è partita dalla riflessione sulla solennità dell’Ascensione di Gesù al cielo. Essa
“mette in luce anzitutto la comunione tra Gesù e i discepoli che sono stati testimoni
della sua risurrezione e, nello stesso tempo, anche l’unità della missione evangelizzatrice
della Chiesa”: da Gerusalemme parte e si diffonde la missione degli apostoli, per
raggiungere uomini che appartengono a popoli e culture diverse. “Il medesimo dinamismo
di crescita e di espansione - ha detto il cardinale Vegliò - è vivo e vitale anche
oggi, in un mondo in cui sono sempre più presenti le problematiche e le sfide del
fenomeno delle migrazioni, ormai divenuto strutturale a livello mondiale”. D’altra
parte i movimenti migratori, soprattutto negli ultimi anni, sono diventati sempre
più frequenti: “vi sono persone che affrontano i disagi dello sradicamento e si avventurano
verso nuove ‘terre promesse’. Emigrare - ha proseguito - non è mai indolore. Se potessero,
molti non lascerebbero il loro Paese. Emigrando, si lascia la patria, la cultura,
le abitudini, le usanze e gli affetti familiari per andare in un luogo sconosciuto,
dove tutto è da imparare, persino la lingua. Sarebbe dunque bene pensare a prevenire
l’emigrazione. Dopotutto è anche diritto di ogni persona di vivere e crescere nel
luogo dove è nata”. Di fatto, “oggi le migrazioni hanno assunto le dimensioni di vere
e proprie crisi umanitarie”, per le caratteristiche da esodo biblico di tale fenomeno,
“sempre più spesso divorato dalla voracità senza scrupoli della criminalità organizzata”.
Non possiamo tacere, ha detto inoltre il presidente del Pontificio Consiglio della
Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, “la prepotente rinascita del traffico di
schiavi, che interessa ogni anno circa un milione di persone, destinate al mercato
della prostituzione, al lavoro coatto, al traffico di organi umani e alla sessualità
minorile”. In tale quadro, sull’esempio del Vangelo, si deve tener presente che il
fondamento positivo delle relazioni è l’altro in quanto prossimo. L’invito
è dunque quello a “superare le barriere della paura, del pregiudizio, dell’indifferenza,
dell’egoismo e della chiusura”, perché nel migrante si fa presente Cristo stesso,
e ad aprire la porta a quanti in difficoltà. Questo non significa certo - ha spiegato
il porporato – “favorire l’illegalità, ma disporci a superarla, nella solidarietà
e con reciproca collaborazione”. Il cristiano quindi “è chiamato a impegnarsi per
la nuova civiltà dell’amore”. “Una vera politica migratoria - ha riflettuto il cardinale
Vegliò - deve tendere a elaborare precise normative che assicurino stabilità e garantiscano
a tutti la difesa dei propri diritti. La Chiesa non rivendica specifiche competenze
nell’elaborazione di tali progetti: si riserva, però, di concorrere con opportune
proposte perché - ha concluso - gli orientamenti si ispirino ai diritti fondamentali
della persona umana e alla grande tradizione della nostra civiltà cristiana”, promuovendo
opere “di formazione della mentalità e delle coscienze”. (A cura diGiada
Aquilino)