Con "Reality" di Matteo Garrone, prosegue il Festival di Cannes
Essere o apparire? La questione, antica, ma resa urgente dalle dinamiche contemporanee,
fluttua nell’aria sul lungomare di Cannes, dove fama e anonimato, lusso e miseria,
drammatica serietà e allegra euforia scorrono in parallelo senza mai incrociarsi.
Il tema è anche lo sfondo su cui si muovono i personaggi di “Reality” di Matteo
Garrone che, attingendo a quell’umorismo di stampo pirandelliano che ritroviamo nelle
assurdità della vita, racconta le vicende di un estroverso pescivendolo napoletano:
le insistenze della famiglia lo gettano nell’illusoria trappola del reality show più
famoso degli ultimi anni, “Il Grande Fratello”. Attraverso un meccanismo di
messa in scena, che come un vortice si chiude intorno al suo protagonista, Garrone
crea un dispositivo narrativo di indubbia efficacia, che ha il duplice effetto di
avvincere lo spettatore al tormento di un’anima perduta e al contempo di farlo riflettere
sul perverso ruolo di quelle strategie televisive che hanno geneticamente modificato
la società italiana, inchiodandola alla volgarità quotidiana del nostro presente.
Un tale vuoto di valori non è tuttavia una prerogativa dell’Ovest europeo. Anche l’Est
soffre di quell’indifferenza che chiude i cuori e le menti alla pietà. È quanto si
vede in “Beyond the Hills" di Cristian Mungiu, che - a distanza di cinque anni
dalla Palma d’oro per “Quattro Mesi, Tre Settimane, Due Giorni” - ritorna sulle
vicende tragiche che ripetutamente scuotono la Romania. Qui il centro motore dello
sviluppo narrativo è un fatto di cronaca piuttosto noto, quello di una ragazza considerata
indemoniata e fatta oggetto di una violenta pratica esorcistica da parte dei religiosi
di un monastero ortodosso, fino a provocarne la morte. Ma, come nel film precedente,
il senso non sta tanto nella vicenda centrale, peraltro drammatica, dolorosa e ben
interpretata da uno stuolo di attori straordinari, quanto nei dettagli di ciò che
la circonda, quell’assoluto non valore dell’esistenza umana che porta all’incoscienza
di sé e degli altri. Se nelle prime proiezioni del Festival avevamo notato la presenza
dell’amore come filtro per inquadrare il presente, in queste seconde prove è proprio
il contrario a venire alla luce, ovvero la mancanza dell’amore come motivo scatenante
del caos del mondo. Lo testimoniano anche alcuni film delle sezioni parallele, come
“Student” di Darezhan Omirbaev, che adatta “Delitto e Castigo” per stigmatizzare
con rigore stilistico la decadenza morale del Kazakhstan, o “Le Repenti” di
Merzak Allouache, che testimonia l’assoluta inconsistenza di una pace sociale in Algeria,
o ancora "La Sirga" di William Vega, che rappresenta efficacemente la disperazione
dei deboli di fronte alla piaga della guerra civile colombiana. Insomma, per trovare
un po’ di speranza bisogna andare nel nuovo mondo, quello che ci descrive poeticamente
“Beasts of the Southern Wild” di Benh Zeitlin, storia di un gruppo di diseredati
resistenti del sud degli Stati Uniti. Ma qui lo sguardo è quello della protagonista
bambina. E come sappiamo le vicende dell’infanzia, una volta vissute, si trasformano
in leggenda. Da domani la realtà riprenderà il sopravvento. (Da Cannes, Luciano
Barisone)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVI no. 141