Tre giorni d’incontri interculturali e di amicizia per conoscere meglio le comunità
straniere di Roma
Tre giorni d’incontri interculturali e di amicizia, per conoscere meglio le comunità
straniere che vivono da lungo tempo a Roma. E’ questo l’obiettivo della manifestazione
“ Piazza Vittorio incontra – La questione di Dio oggi. Le culture dal mondo a Roma”,
che si sta svolgendo in questi giorni nella capitale. L’iniziativa, iniziata giovedì
scorso e che si concluderà questa sera, è stata promossa dall’Ufficio diocesano per
la Pastorale universitaria e ha visto la presenza di tutte le comunità sudamericane,
africane, asiatiche ed Europa dell’est, che da anni popolano l'antica piazza. Marina
Tomarro ha intervistato padre Luciano Panella, tra gli organizzatori della
tre giorni:
R. - Diciamo
che non è la piazza che va in Chiesa ma è la Chiesa che va in piazza. La Chiesa intesa
ovviamente come persone, che partecipano alla realtà ecclesiale. In queste serate,
si sono avute anche delle bellissime testimonianze dei vari gruppi etnici della Polonia,
del latino-America, dei filippini: persone che sono la Chiesa. Accompagnati anche
da noi come missionari, come sacerdoti e come parroci, hanno fatto di questa piazza
un areopago dove si fa l’annuncio di Dio, dove si ascolta Dio ascoltano le esperienze
degli altri.
D. - In che modo, oggi, si educa all’interculturalità, in un momento
anche così particolare per l’Italia?
R. - Credo che lo abbia detto molto bene
un nostro missionario in Madagascar: attraverso l’accoglienza, le cose semplici, manifestando
quell’amore che non è fatto di interesse ma è fatto di passione per l’uomo. Se c’è
questa dimensione di accoglienza, la gente lo percepisce. Dio non è un concetto: Dio
si è incarnato nella storia, ha camminato con le persone, ha accolto, ha perdonato,
ha amato. Dai frutti riconoscerete se l’albero è buono o meno. Ritengo, quindi, che
la cosa fondamentale sia l’accoglienza.
Ma ascoltiamo la testimonianza di una
famiglia polacca, che da oltre venti anni vive a piazza Vittorio. Taddeus e
sua figlia Anna Maria:
R. - Penso che questa sia un’occasione per conoscerci,
una delle varie possibilità per farlo, per noi che veniamo da così tante nazioni.
Conoscere l’altro è sempre una ricchezza enorme, e per noi all’inserimento qui, in
Italia, è corrisposto anche un punto d’appoggio per la nostra religiosità. Questo
inserimento nella Chiesa, quindi, ci ha aiutato anche a inserirci nella società italiana.
Inoltre, c’è anche l’apertura alle altre culture ed alle altre nazioni.
D.
- Annamaria, tu sei nata in Italia. Quanto è importante, per te, essere anche polacca?
R.
- Sì, sono nata a Roma, ma forse la prima lingua che ho imparato è stata quella polacca,
perché i miei genitori parlano soprattutto in polacco, a casa. E questo soprattutto
perché, vivendo qui, imparo l’italiano a scuola e con gli amici. Per mantenere, quindi,
questa doppia cultura e questa doppia lingua, a casa parliamo in polacco. E’ molto
importante, secondo me, mantenere le proprie origini perché è una grandissima fortuna:
in questo periodo, con la globalizzazione e tutto il resto, ci sono questi grandi
scambi culturali. Quello che dovremmo vedere, a mio avviso, è anche la vera origine
e la bellezza di questa interculturalità e di questa diversità, che però poi va a
confluire nella fratellanza e nel fatto che nella nostra diversità siamo anche tutti
uguali, perché siamo tutti fratelli e siamo tutti uguali dinanzi a Dio.