2012-05-18 15:27:31

Sudan. L'Italia a Kharthoum: si torni a negoziare sulla linea dell'Onu


Il conflitto tra Nord Sudan e Sud Sudan continua a destare allarme nella comunità internazionale. Oggi, a Roma, il ministro italiano degli Esteri, Giulio Terzi, ricevendo alla Farnesina il suo omologo sudanese, Ali Ahmed Karti, ha espresso preoccupazione per l’attuale stato di tensione tra Kharthoum e Juba. Terzi ha esortato alla ripresa dei negoziati e ha espresso l’auspicio che venga applicata la Risoluzione 2046 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che il 2 maggio scorso ha chiesto l’interruzione immediata degli scontri e il ritiro dei due eserciti entro i propri confini. Ieri, intanto, è giunto a Kharthoum l’ex presidente sudafricano, Thabo Mbeki, in qualità di mediatore dell’Unione Africana, che tenterà di riavviare tra le parti i colloqui di pace, interrotti ad Addis Abeba nell’aprile scorso a causa delle violenze tra i due Paesi, che si contendono le zone di confine ricche di petrolio. Quali speranze di riuscita ha questo nuovo tentativo diplomatico? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Michele Luppi, giornalista esperto di Africa:RealAudioMP3

R. – La speranza c’è, assolutamente. Però, rimangono grandi difficoltà. Non dobbiamo dimenticare che i tre punti che ancora rappresentano i nodi principali da sciogliere nelle relazioni tra Sudan e Sud Sudan, ovvero la questione dei confini, la questione della cittadinanza e la questione della ridistribuzione dei proventi del petrolio: sono gli stessi nodi che di fatto sono presenti dal 2005, quando venne firmato l’accordo di pace che mise fine alla guerra tra Juba e Khartoum. E sono gli stessi nodi che nei sei anni di transizione che hanno preceduto l’indipendenza del Sud Sudan non sono stati risolti. Quindi, è difficile ipotizzare che nei pochi mesi che l’Onu ha stabilito come tempo limite per trovare un accordo si riesca ad arrivare a una soluzione completa. Certo, che si possa iniziare un percorso che porti a un miglioramento della situazione, quello lo si auspica.

D. – Sembra una guerra unicamente per la gestione del petrolio. C’è qualcos’altro, invece, scaturito dopo l’indipendenza del Sud Sudan?

R. – Certamente, il petrolio è fondamentale per entrambi i Paesi. Per il Sud Sudan i proventi del petrolio rappresentano il 98 per cento del budget dello Stato. Però, non bisogna dimenticare che tutti gli oleodotti che servono al Sud Sudan per commerciare il petrolio vanno a Nord e quindi è chiaro che, senza un accordo con Kharthoum, il Sud Sudan non può esportare. Dall’altra parte, però, la rendita di questo transito del petrolio è fondamentale anche per il Sudan. Certamente, ci sono anche altre questioni legate alle dispute sui confini. Il problema è che qualsiasi accordo che venga preso tra Juba e Khartoum non può prescindere dal coinvolgimento delle popolazioni locali, che rivendicano autonomia, potere e anche il diritto di poter decidere della propria vita. Noi, oggi, nel Sud Kordofan, così come nel Blu Nile, abbiamo popolazioni che avevano lottato per l’indipendenza assieme ai miliziani del Sud Sudan e che oggi si trovano a far parte di quel Paese che hanno sempre combattuto. Senza poi dimenticare un’ultima cosa: la questione dei Monti Nuba. Nei Monti Nuba abbiamo una situazione di violenze e di soprusi nei confronti della popolazione, perpetrate dall’esercito del Sudan, che ha provocato 400 mila profughi nell’ultimo anno.

D. – Come giudicare l’atteggiamento di Khartoum che si ostina a negare quello che dicono molti rapporti di Organizzazioni non governative, e cioè che esiste – soprattutto nel Kordofan – una grave situazione umanitaria?

R. – Kharthoum ha sempre giustificato i propri interventi, sia in Sud Kordofan sia nel Darfur, come azioni contro milizie insorte contro il governo e quindi, in un certo senso, come una questione interna. Dall’altra parte, Kharthoum ha sempre visto il ruolo delle Ong internazionali nella logica di Bashir come al soldo degli Stati Uniti, al soldo dell’Occidente e al soldo anche del Tribunale penale internazionale, che ha emesso un mandato di cattura nei suoi confronti, quindi una sorta di logica di accerchiamento internazionale nei suoi confronti. Questo è un modo per giustificare i suoi interventi e anche per cercare di ricompattare la sua stessa maggioranza e per evitare che quelli che sono comunque le sue spine nel fianco – perché anche all’interno del Sudan, Bashir ha delle opposizioni – possano prendere piede.







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