Siria. Archivio Disarmo sui ribelli "foraggiati" di armi dai Paesi del Golfo
In Siria, Baath, il partito al potere da mezzo secolo, vanta una vittoria ancora più
schiacciante del passato nelle elezioni legislative del 7 maggio, “le prime dell'era
del multipartitismo”. La violenza comunque non si ferma: 32 persone sono rimaste uccise
nelle ultime ore. E il presidente Assad continua a parlare di terrorismo e di ingerenze
straniere, criticando in particolare la Francia e il neoeletto presidente, Francois
Hollande. Intanto, il Washington Post parla di incremento massiccio di rifornimento
di armi ai ribelli, grazie ai fondi di diversi Paesi del Golfo e al coordinamento
degli Stati Uniti. Sull’attendibilità e la portata di questa notizia, Fausta Speranza
ha intervistato Maurizio Simoncelli, dell’Istituto di ricerche internazionali
Archivio Disarmo:
R. – Non abbiamo
fonti certe, naturalmente, di tutto quanto sta avvenendo in questo periodo nell’area
mediorientale e intorno al conflitto che è scoppiato da ormai più di un anno in Siria.
Il dato certo è che sicuramente, da una parte e dall’altra, ci sono forniture di armi:
arrivano ai ribelli e all’esercito siriano, cioè ai lealisti per così dire. Le cifre
certe non si hanno: ogni tanto si ha notizia di navi fermate e si dice che in alcuni
casi provengano da parte dell’Iran. Noi sappiamo che uno dei tradizionali alleati
del governo di Assad, in questo ambito, è anche la Russia di Putin, che si è sempre
opposta a possibili embarghi.
D. – Qual è la portata di questa notizia: se
dovesse essere vera cosa potrebbe significare per questo braccio di ferro tra opposizione
e regime in Siria?
R. – Certamente, ormai ci troviamo di fronte a una guerra
in corso. Il problema è sperare che tutto questo non si allarghi, perché vediamo che
non sono soltanto gli Stati Uniti a essere i grandi fornitori di armi all’opposizione,
ma anche qualche altro Paese del Golfo, che teme molto l’influenza e l’azione dell’Iran.
Tutto questo potrebbe continuare a destabilizzare l’intero territorio. C’è quindi
il pericolo di un avvitamento, di una crisi armata che potrebbe coinvolgere non solamente
il Paese di cui stiamo parlando, ma un’area appunto molto, molto più vasta.
D.
– Qualcuno fa un parallelismo con la situazione in Libia. Anche lì c’era guerra civile:
a un certo punto è arrivato un massiccio aiuto di armi ai ribelli e c’è stata la svolta.
E’ possibile fare questo paragone?
R. – Siamo in due situazioni molto, molto
diverse: il regime di Gheddafi era un regime molto autonomo e indipendente rispetto
al grande alleato della Siria che è l’Iran. Certamente, alcune dinamiche potrebbero
essere simili. Però, ricordiamo che non sono stati i ribelli a vincere Gheddafi, ma
c’è voluto l’intervento militare della Nato, che è stato risolutivo. Noi abbiamo nel
caso della Siria un esercito ben armato, ben organizzato, che è quello di Assad, con
truppe che si sono anche ammutinate, ma non siamo allo stesso livello di forze in
campo. Per cui, per quanto Stati Uniti e altri Paesi possano inviare armi, non credo
che un intervento solo di questo genere possa mettere in crisi le forze armate di
Damasco. Abbiamo visto, purtroppo, la tragedia di Homs e adesso ci sono altre città
che vengono bombardate… Immaginare un altro tipo di intervento come quello che c’è
stato lo scorso anno mi sembra in questo momento estremamente difficile.