I cristiani in Medio Oriente: intervista con padre Samil Khalil Samir
Le comunità cristiane in Medio Oriente sono da sempre una delle realtà più radicate
nel territorio, non solo vicino ai Luoghi Santi, ma anche in Siria, Libano e Iraq
e vivono spesso in condizioni difficili. Ma quale contributo possono dare oggi i cristiani
d’oriente all’evangelizzazione, al dialogo e alla pace? Michele Raviart lo
ha chiesto a padre Samil Khalil Samir, islamologo e professore al Pontificio
Istituto Orientale e all’università St. Joseph di Beirut.
R. - Come cristiani
orientali abbiamo una missione riguardo ai musulmani e al nostro popolo: di trasmettere
i valori validi dell’Occidente, non la secolarizzazione ma l’importanza dei diritti
umani, della libertà religiosa, del rispetto dell’altro, anche se contrario ai miei
principi, di lavorare insieme per progetti politici comuni, di imparare insieme la
democrazia, la libertà. Questo in Oriente. Riguardo all’Occidente, bisogna far capire
anche che la perdita del valore del sacro e della religiosità, che in Oriente è una
cosa che va da sé, è una grande perdita.
D. – I cristiani d’Oriente vivono
a contatto quotidiano con le popolazioni musulmane. Come la loro esperienza può essere
utile nei rapporti con l’islam?
R. – I cristiani hanno l’obbligo di annunciare
il Vangelo a tutte le creature. Ora il tuo vicino di casa può essere un cristiano,
può essere un ateo secolarizzato, può essere un musulmano: ci sono ormai più di 15
milioni di musulmani in Occidente, e la cifra va aumentando. Che stiamo facendo per
far scoprire la bellezza del Vangelo, non per fare proselitismo, ma per dire “Il Vangelo
è anche per te, ti appartiene”? A questo punto penso che noi cristiani orientali possiamo
aiutare l’Occidente a fare una catechesi adatta alla mentalità, alla cultura e alla
spiritualità, che è molto importante, dei musulmani.
D. – Nelle aree di conflitto
in Medio Oriente, i cristiani possono avere un efficace ruolo di mediazione?
R.
– Se prendo il caso della Siria, i cristiani sono gli unici che possono avere una
parola di mediazione, una parola che dice che l‘atteggiamento autoritario del governo,
del voler imporsi è inaccettabile, non perché sia il governo, ma perché è inaccettabile
umanamente per una comunità; dire ai musulmani che non è quella la società che la
Siria vuole. L’errore all’inizio da parte del governo è stato di rifiutare qualunque
riforma, di promettere le riforme senza farle, rimandando sempre a più tardi, e l’errore
da parte dell’opposizione è stato quello di scoraggiarsi talmente dall’atteggiamento
del governo da passare alle armi.
D. – Come vive la comunità cristiana il conflitto
in Siria?
R. – I cristiani sono per una maggiore libertà, democrazia, dignità
dell’uomo e sono del tutto favorevoli al movimento popolare. Non abbiamo un progetto
politico per prendere il potere: sappiamo che non lo prenderemo mai. Siamo gli unici,
perché gli alawiti che sono una minoranza hanno il potere e i sunniti sono quelli
che vogliono prenderlo. Noi cristiani dialoghiamo con tutte le parti. Per questo penso
che dovremmo avere un ruolo più attivo. Spero nell’aiuto delle Nazioni Unite, purché
non sia un aiuto militare, ma solo un aiuto di mediazione.