2012-05-13 13:20:53

I cristiani in Medio Oriente: intervista con padre Samil Khalil Samir


Le comunità cristiane in Medio Oriente sono da sempre una delle realtà più radicate nel territorio, non solo vicino ai Luoghi Santi, ma anche in Siria, Libano e Iraq e vivono spesso in condizioni difficili. Ma quale contributo possono dare oggi i cristiani d’oriente all’evangelizzazione, al dialogo e alla pace? Michele Raviart lo ha chiesto a padre Samil Khalil Samir, islamologo e professore al Pontificio Istituto Orientale e all’università St. Joseph di Beirut.RealAudioMP3

R. - Come cristiani orientali abbiamo una missione riguardo ai musulmani e al nostro popolo: di trasmettere i valori validi dell’Occidente, non la secolarizzazione ma l’importanza dei diritti umani, della libertà religiosa, del rispetto dell’altro, anche se contrario ai miei principi, di lavorare insieme per progetti politici comuni, di imparare insieme la democrazia, la libertà. Questo in Oriente. Riguardo all’Occidente, bisogna far capire anche che la perdita del valore del sacro e della religiosità, che in Oriente è una cosa che va da sé, è una grande perdita.

D. – I cristiani d’Oriente vivono a contatto quotidiano con le popolazioni musulmane. Come la loro esperienza può essere utile nei rapporti con l’islam?

R. – I cristiani hanno l’obbligo di annunciare il Vangelo a tutte le creature. Ora il tuo vicino di casa può essere un cristiano, può essere un ateo secolarizzato, può essere un musulmano: ci sono ormai più di 15 milioni di musulmani in Occidente, e la cifra va aumentando. Che stiamo facendo per far scoprire la bellezza del Vangelo, non per fare proselitismo, ma per dire “Il Vangelo è anche per te, ti appartiene”? A questo punto penso che noi cristiani orientali possiamo aiutare l’Occidente a fare una catechesi adatta alla mentalità, alla cultura e alla spiritualità, che è molto importante, dei musulmani.

D. – Nelle aree di conflitto in Medio Oriente, i cristiani possono avere un efficace ruolo di mediazione?

R. – Se prendo il caso della Siria, i cristiani sono gli unici che possono avere una parola di mediazione, una parola che dice che l‘atteggiamento autoritario del governo, del voler imporsi è inaccettabile, non perché sia il governo, ma perché è inaccettabile umanamente per una comunità; dire ai musulmani che non è quella la società che la Siria vuole. L’errore all’inizio da parte del governo è stato di rifiutare qualunque riforma, di promettere le riforme senza farle, rimandando sempre a più tardi, e l’errore da parte dell’opposizione è stato quello di scoraggiarsi talmente dall’atteggiamento del governo da passare alle armi.

D. – Come vive la comunità cristiana il conflitto in Siria?

R. – I cristiani sono per una maggiore libertà, democrazia, dignità dell’uomo e sono del tutto favorevoli al movimento popolare. Non abbiamo un progetto politico per prendere il potere: sappiamo che non lo prenderemo mai. Siamo gli unici, perché gli alawiti che sono una minoranza hanno il potere e i sunniti sono quelli che vogliono prenderlo. Noi cristiani dialoghiamo con tutte le parti. Per questo penso che dovremmo avere un ruolo più attivo. Spero nell’aiuto delle Nazioni Unite, purché non sia un aiuto militare, ma solo un aiuto di mediazione.







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