Ue: sempre più gravi i rischi di un'uscita della Grecia dall'Euro
La Grecia, dopo ed in seguito alla crisi economica sta attraversando una crisi politico-istituzionale
senza precedenti. Nonostante, infatti, l’invito delle Istituzioni europee ad un maggior
senso di responsabilità, sono andati falliti i tre tentativi di formare un governo
di coalizione e “salvezza” nazionale. Ora, di fronte alla situazione di stallo di
Atene, le cancellerie del Vecchio Continente e le istituzioni europee stanno insistendo
sul tasto della responsabilità; devono, in pratica, i greci stessi, decidere se restare
in Europa o meno. Questa contrapposizione così forte, non rischia di minare le basi
sulle quali è stata fondata l’Unione Europa? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Francesco Gui,docente di Storia dell’Europa all’Università di Roma
"La Sapienza":
R. - Di certo
sono momenti altamente drammatici, e si può comprendere come questa popolazione, da
un momento all’altro, si possa trovare in una situazione così difficile. Diciamo la
verità: non sono processi facili. Si è parlato di rigidità della posizione tedesca:
da un certo punto di vista si può dire che bisogna riuscire anche ad imparare ad essere
un po’ tolleranti, però il problema è che servono certamente riforme radicali per
quei Paesi che si trovano in difficoltà.
D. - Se la Grecia uscisse effettivamente
dall’Europa, non minerebbe quelle che sono le basi dell’Europa stessa?
R. -
Credo che sarebbe una cosa estremamente grave, nonostante ciò che si dice oggi, forse
anche per forzarli ad accettare certe condizioni. Lo considererei un evento catastrofico,
anche perché gli effetti sugli altri Paesi sarebbero piuttosto gravi. Quello che non
si può dire, però, è che è tutta colpa dei tedeschi, oppure non si può dire che "per
la crescita, basta ripompare il denaro nell’economia ed il problema è risolto". Il
problema, secondo me, è molto più complesso e deve comportare trasformazioni interne
alle nostre società.
D. - Istituzionalmente non esiste la figura del ministro
delle Finanze europeo, nonostante le numerose sollecitazioni. Non è arrivato, secondo
lei, il momento di crearla questa figura e, se ci fosse, quanto aiuterebbe a gestire
le cose con più tranquillità?
R. - Secondo me sarebbe molto importante. Da
una parte i Paesi che sono un po’ in difficoltà si devono render conto di aver chiesto
loro di entrare nell’euro. Poi hanno fatto finta di niente, come se nulla fosse, ed
ora pagano le colpe degli errori commessi. E’ quindi necessaria una profonda trasformazione,
ovviamente in meglio, delle nostre società. Chiaramente, però, serve un momento istituzionale,
ma anche una maggiore partecipazione diretta da parte degli europei nella vita politica
dell'Unione. Mi stupisco, ad esempio, del fatto che il governo tedesco, oltre ad imporre
l’austerity e così via - che, per certi aspetti, era necessaria -, abbia anche proposto
di eleggere, direttamente dai cittadini europei, il presidente della Commissione europea.
Ovverosia, colui che gestirebbe, di fatto, non la politica estera dell’Unione ma,
soprattutto, la politica economica, su una base molto forte. Ecco, mi stupisco che
nessun governo e nessun partito, neanche da noi, abbia detto di essere o meno d’accordo
ed abbia ripreso quest’atto costruttivo, fatto dal governo di Berlino.
D. -
In un mondo che tende a creare grossi blocchi, anche economici, il fatto che in Europa
si rischi invece un disfacimento dell’Unione non fa ulteriormente perdere credibilità
al Vecchio continente, a livello internazionale?
R. - Naturalmente, e non solo
per un fatto egoistico. Diciamo la verità: non siamo più nella società dell’edonismo
ma in quella del dovere, dell’impegno, della creatività, della scienza e così via.
Se gli europei potessero dimostrare, al resto del mondo, che ci si può unire in maniera
pacifica e costruire delle democrazie per l’interesse generale, non solo farebbero
il proprio interesse ma farebbero anche l’interesse di tutto il genere umano, se mi
posso permettere quest’espressione kantiana...