Nelle Mauritius, cattolici e anglicani uniti contro l’aborto
L’aborto non è una soluzione. Essenziale, invece, sostenere le donne incinte in difficoltà:
così, in sintesi, cattolici e anglicani delle Isole Mauritius scrivono in una lettera
aperta ai parlamentari del Paese. Il 4 maggio scorso, infatti, il governo locale ha
annunciato la decisione di presentare un progetto di legge che autorizzerebbe l’aborto
in alcuni casi specifici: quando la gravidanza comporta, per la donna, il rischio
della vita o di conseguenze gravi e permanenti sulla sua salute fisica e mentale;
in caso di malformazioni del feto; se la donna resta incinta dopo un’aggressione sessuale,
oppure ad un’età inferiore ai 16 anni o, ancora, in caso di incesto. Nella missiva
congiunta, il vescovo cattolico di Port-Louis, Maurice Piat, e il suo omologo anglicano,
Ian Ernest, affermano di “non voler in alcun modo imporre una dottrina religiosa,
ma piuttosto contribuire al progresso della società”. Quindi, punto per punto, cattolici
ed anglicani ribattono alle clausole poste dal progetto di legge: in caso di rischio
della vita della donna, scrivono, “il ricorso al parto cesareo è la soluzione più
indicata”, mentre le possibili conseguenze sulla salute della donna sono “rischi e
non certezze” ed “è molto difficile legiferare sui rischi”. Quanto alle possibili
malformazioni del feto, la lettera ribadisce che permettere l’aborto in questi casi
significherebbe “rifiutare di lasciar vivere una persona con un handicap fisico o
mentale”. Al contrario, “un bambino disabile ha diritto ad una tutela maggiore da
parte della società, poiché anche lui ha un contributo di saggezza da apportare” nel
mondo. Riguardo, poi, alle donne che rimangono incinte in circostanze difficili, cattolici
e anglicani sottolineano che “la vita umana resta una vita umana, innocente, fragile,
della quale tutti siamo responsabili”. Di qui, “il dovere di sostenere le donne che
si trovano in tali situazioni, così da dare loro la possibilità di assumersi le loro
responsabilità di madri con dignità”. Con particolare riferimento alla clausola riservata
alle minori di 16 anni, mons. Piat ed il Rev. Ernest affermano che “permettere l’aborto
in questi casi equivarrebbe a fare dell’interruzione volontaria di gravidanza un metodo
di contraccezione e ciò significherebbe banalizzare la soppressione della vita e disumanizzare
i giovani”. La missiva prosegue ricordando che “la vita comincia e deve essere rispettata
sin dal concepimento”, il che implica massima severità nei confronti di chi “fa pressione
sulle donne perché abortiscano” e nei confronti dei “medici che cercano, attraverso
la pratica dell’aborto, un modo facile per arricchirsi”. In alternativa a tale progetto
di legge, cattolici ed anglicani propongono, invece, una normativa “che abbia a cuore
lo sviluppo umano dei cittadini”, promuovendo quindi “una maggiore educazione alla
vita affettiva e alla sessualità, intesa come linguaggio dell’amore vissuto nell’impegno
del matrimonio”. Necessarie anche “delle reti di solidarietà per le donne e le giovani
in difficoltà” e per questo lo Stato viene invitato a “sostenere finanziariamente
gli organismi che offrono sostegno ed ascolto alle ragazze incinte in situazioni complicate”.
Dal canto loro, le Chiese si dicono “felici di poter lavorare insieme al governo e
alle organizzazioni non governative in questo settore”. E ancora: cattolici e anglicani
chiedono di “semplificare le procedure di adozione nel Paese per facilitare l’accoglienza
dei bambini da parte di coppie disposte ad impegnarsi in quest’ambito”. Infine, la
lettera si conclude con un richiamo forte: “Nessuno ha alcun diritto sulla vita umana,
ma soltanto una responsabilità nei confronti di essa”. Perciò, al di là delle divisioni
politiche, maggioranza e opposizione vengono esortate a votare il progetto di legge
“secondo coscienza, una coscienza illuminata dalla saggezza umana” (I.P.)