Chiude il Forum economico mondiale sull'Africa di Addis Abeba
Si chiude oggi, 11 maggio, ad Addis Abeba il Forum Economico Mondiale sull’Africa.
Settecento tra esperti, imprenditori e dirigenti politici hanno cercato di delineare
nei tre giorni di lavori le linee guida per lo sviluppo del continente. E mentre la
crisi delle economie occidentali continua, l’Africa attrae investimenti esteri in
modo crescente. E’ quanto spiega nell’intervista di Davide Maggiore, il giornalista
esperto di Africa del “Sole 24 Ore”, Riccardo Barlaam:
R. – Alcune
banche internazionali, come JP Morgan, Crédit Suisse, Barclays, Bank of China, stanno
aprendo succursali in questi ultimi mesi, soprattutto in Sudafrica, perché cercano
business, attratte da questi tassi di crescita che – in termini assoluti – sono bassi
rispetto ai Paesi occidentali, ma comunque di rilievo se si considera che quest’anno
il Pil africano in media cresce del 5,4 per cento secondo le stime del Fondo monetario
internazionale (Fmi). Barclays, che in Africa è presente in diversi Paesi, ha 22 mila
impiegati tra la sua banca e le banche controllate. Il fenomeno è successivo a quello
dell’espansione cinese in Africa negli ultimi 10-15 anni, che ha cambiato un po’ le
carte in tavola. E’ di qualche giorno fa la notizia che il Congresso americano ha
approvato una legge bipartisan sulle esportazioni dagli Stati Uniti: loro prevedono
nei prossimi dieci anni di triplicare le esportazioni verso i Paesi africani e credo
che la concorrenza dei Paesi occidentali nelle partnership con questi Paesi,
che hanno tutto da sviluppare, sia positiva perché aiuta la Cina a non avere appetiti
neocoloniali.
D. – In questo processo, giocano un ruolo anche i fondi speculativi?
R.
– Per ora, per fortuna, no perché non ci sono grandi mercati finanziari. Il lavoro
che fanno le banche anche di finanziare, di aiutare gli investimenti, prestare capitali,
cercare di espandersi pian piano con la rete nei vari Paesi, è più un supporto dell’economia.
Per ora la finanza, per fortuna, mi sembra ancora marginale.
D. – Non c’è il
rischio che questo sviluppo economico si traduca in uno sviluppo a "macchia di leopardo",
tanto per quanto riguarda le aree geografiche quanto per benefici che potrebbero riguardare
le sole élite?
R. - Quando si parla di sviluppo in Africa ovviamente non si
può pensare a uno sviluppo con i canoni occidentali. L’Africa è un continente dove
il 70 per cento della popolazione vive in aree rurali, nei villaggi. L’Africa è come
un treno dove ci sono vagoni che sono drammaticamente all’ultimo posto, pensiamo alla
Somalia. In ogni caso, negli ultimi 15 anni, c’è stato un miglioramento, direi generale,
delle condizioni. Il problema di questo sviluppo è che sia ordinato e che quindi non
si creino, come sta succedendo, le megalopoli, le baraccopoli di persone che scappano
dalle campagne e vanno verso le città, ma si cerchi di favorire anche uno sviluppo
ordinato, per cui le persone riescono a lavorare anche nelle campagne.
D. -
Quali sono le "locomotive" di questo possibile treno africano?
R. – Il Sudafrica
è senz’altro una delle locomotive, come pure l’Egitto che si trova in un difficile
momento di transizione, come l’Angola nella cui capitale una camera d’hotel costa
più che a New York. O come la Nigeria devastata da questi problemi interni… Accanto
a questi ce ne sono altri come il Mozambico, il Botswana, il Ghana che è il Paese
che in assoluto ha avuto un aumento del Pil l’anno scorso più elevato al mondo, oltre
il 20 per cento.
D. – Tra le storie di successo africane, c’è anche la comparsa
di magnati locali che hanno accumulato patrimoni molto elevati…
R. – Ci sono
tanti miliardari africani. A Lagos, in Nigeria – dove c’è già una concessionaria di
auto inglesi, di Aston Martin e di Lamborghini – hanno aperto una filiale Porsche
e contano di vendere almeno 100 Porsche all’anno nel Paese Sempre in Nigeria, ci sono
marchi occidentali come Moet & Chandon, Louis Vuitton… I nuovi ricchi e questa classe
media – i manager delle telecomunicazioni o manager nati accanto alle società pubbliche
di diversi Paesi africani – la prima cosa che fanno è cercare di imitare il peggio
dell’Occidente e il peggiore consumismo. Ovviamente, i marchi cosiddetti del lusso
fanno il loro lavoro e sbarcano anche loro come le banche in Africa in cerca di affari.