Mercoledi le massime istituzioni della Repubblica hanno ricordato il ritrovamento
del corpo di Aldo Moro, avvenuto il 9 maggio 1978 in via Caetani a Roma. Con la morte
dello statista dc si interruppe il processo di maturazione democratica del Paese.
Ne è convinto Francesco Biscione che ha scritto il libro " Il delitto Moro
e la deriva della democrazia“ edito da Ediesse. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:
R. – Con la
sua morte, l’intero progetto costituzionale repubblicano, che poi è alla base della
tradizione antifascista che ha costruito le istituzioni, in qualche modo si interrompe;
perde la sua capacità di raccogliere gli italiani in un disegno unitario. Quello che
avviene dopo è una lenta e progressiva disgregazione del senso dello Stato, del senso
della nazione, dell’identità nazionale fino al baratro, fino all’orlo del baratro
al quale siamo pervenuti adesso.
D. – Insomma, la fine della politica della
solidarietà …
R. – Sì, ma intendendo per politica della solidarietà un’idea
comune e collettiva di Nazione che nell’antifascismo e nella tradizione costituzionale
c’era. Dopo è possibile che nasca un partito, che questo partito raggiunga anche percentuali
di una qualche rilevanza che predichi la secessione; è possibile che un capo di un
governo inviti a non pagare le tasse … Tutti questi sono elementi di disgregazione
radicale di un Paese, che minano l’identità nazionale.
D. – Secondo lei, Moro
aveva una visione europea della politica e dell’Italia? E possiamo in qualche modo
rifarci a quella visione, in questo momento?
R. – Senza dubbio, nel senso che
come ministro degli Esteri, come uomo politico nazionale aveva presenti tutti gli
equilibri mondiali: il rapporto con l’Occidente atlantico, la comune tradizione democratica
europea, anche la situazione conflittuale dovuta alla guerra fredda che è un problema
che, grazie al cielo, è stato ormai superato. Non c’è dubbio che la cultura di Moro
si nutrisse di rivoli provenienti da un insieme di culture democratiche e moderne
dell’Europa e dell’Occidente.