Le elezioni in Europa tra crisi economica e anti-politica. L'analisi dell'economista
Secchi
Il Vecchio Continente reagisce alla crisi economica e modifica il quadro politico
in diversi Paesi. In Francia, innanzitutto, ma anche in Grecia, e per diversi motivi
anche in Italia. Preoccupante, in taluni casi, la vittoria di partiti estremisti,
accompagnata dalla caduta di quelli tradizionali. Come definire, complessivamente,
il cambiamento in atto? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Carlo Secchi,
docente di Politica Economica Europea all’Università Bocconi di Milano:
R. - E’ un chiaro
sintomo del fatto che le pur necessarie politiche di rigore e di risanamento dei conti
pubblici, attraverso la disciplina fiscale, non sono state percepite nella loro giusta
dimensione da parte dell’elettorato: sui piatti della bilancia non sono stati correttamente
messi i sacrifici cui si va tutt’ora incontro e i gravissimi rischi che si andavano
altrimenti correndo.
D. - Si può parlare in tutti questi casi di voto di protesta
o c’è una richiesta di cambiamento reale, che va oltre?
R. - In buona parte
è un voto di protesta, perché non mi pare siano emerse proposte alternative. Certamente
un voto che sottolinea anche la domanda di crescita: da parte di tutti coloro che
hanno responsabilità. Si cerca il più possibile di coniugare effettivamente il rigore
con le esigenze della crescita. D’altro canto senza crescita, abbiamo un boomerang
sui conti pubblici a prescindere da ogni altro considerazione, in quanto il gettito
fiscale ne soffre e la spesa pubblica tende a dilatarsi. Quindi il classico cane che
si morde la coda!
D. - Scendendo più nello specifico, la Germania - la "locomotiva
di Europa" - cerca di ristabilire gli equilibri con la Francia: la Merkel insiste
sul rigore mentre il socialista Hollande ha una visione differente. Su quali punti
Parigi e Berlino potranno trovare un accordo?
R. - Diciamo che la domanda di
rigore da parte della Germania è coerente con l’attuale situazione in cui, nonostante
il recente Trattato sulla disciplina fiscale - noto come “fiscal compact” - quello
di inizio marzo, di fatto gli Stati rimangono in larga misura autonomi e quindi occorrono
delle garanzie formali, procedurali che attuino poi dei comportamenti corretti, dei
comportamenti virtuosi. Il passo in avanti che si può compiere è dal punto di vista
politico, e cioè di misure nella direzione di una maggiore unificazione europea: se
si va nella direzione di più Europa è anche possibile insistere meno sulle regole
e dedicarsi di più ai comportamenti, che diventano responsabilità di autorità comuni.
D. - In Grecia, altro Paese in cui si è votato, la situazione è differente:
ovviamente qui la crisi ha avuto un forte impatto sui cittadini che hanno voluto punire
i partiti tradizionali e ora vogliono un cambiamento reale. Si ascolteranno, secondo
lei, le loro richieste?
R. - Anche lì siamo in una situazione in cui chiaramente
l’elettorato dimostra, attraverso la sua radicale protesta, di non aver capito il
rischio di fronte al quale si trova il Paese a fronte dei sacrifici imposti. Rispetto
alle tradizionali ricette, basate sulla svalutazione e sull’inflazione, qui si è dovuto
- per conseguire gli stessi risultati in una situazione di cambi fissi - perseguire
la strada delle riduzione dei redditi reali, dei prezzi e così via… Tutto questo non
è stato assolutamente capito: è stato visto come quasi fosse una ingiustizia e non
come l’amara medicina indispensabile per poter cercare di guarire. Che cosa farà la
Grecia? Questo è difficile dirlo, ma la sensazione che si ha è quella di un elevato
rischio di ingovernabilità. C’è da auspicare che prevalga un po’ di saggezza e che
si mettano veramente in conto gli interessi di lungo periodo del Paese: la paventata
uscita dall’Euro, di cui qualcuno parla, sarebbe un disastro per la Grecia in primis,
ma anche per il resto dell’Europa. Una situazione certamente molto difficile, che
dimostra come politiche di austerità o sono condivise o diventano un boomerang.
D.
- E veniamo all’Italia, dalle cui urne è uscito un voto di protesta: ma quanto questo
risultato è stato determinato dalla crisi economica e quanto - secondo lei - dal vento
dell’antipolitica che soffia nel Paese?
R. - E’ un po’ tutte e due le cose.
Io credo che i tradizionali partiti politici abbiano fatto di tutto per aggravare
la propria situazione. Non riesco a capire, ad esempio, perché misure richieste a
gran voce, come i tagli al finanziamento pubblico ai partiti, siano state rinviate
a dopo le elezioni! C’è anche un voto di protesta, non delle stesse dimensioni di
quello che avviene in altri Paesi, Grecia in primis, ma dove non si capisce che i
sacrifici richiesti - seppur importanti - sono di nuovo per evitare guai molto, molto
maggiori.