I 170 anni della morte di San Giuseppe Cottolengo, uno dei "Santi preti" dell'Italia
dell'Ottocento
Modello insigne di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà, San Giuseppe
Benedetto Cottolengo è uno tra i veri portatori di luce all'interno della storia.
Uomo di speranza, carità e amore: sono le parole del Santo Padre nell’Enciclica Deus
Caritas est. Nei giorni scorsi, la città di Torino e tutta l'Italia hanno commemorato
il 170.mo anno dalla morte del Santo. Giorgia Innocenti ne ha parlato con Giuseppe
Tuninetti, docente di Storia della Chiesa contemporanea alla facoltà dell'Italia
teologica dell'Italia Settentrionale:
Incline fin
dall’infanzia al servizio verso i più bisognosi, consacrato sacerdote a Torino, Giuseppe
Cottolengo nasce a Bra il 3 maggio 1786, primogenito di 12 fratelli. Dopo aver letto
la vita di San Vincenzo De Paoli, il Cottolengo comprende la sua vera strada: quella
della carità. Nel 1828, apre le prime case della Divina Provvidenza, prima per i malati
rifiutati da tutti, poi per le famiglie di handicappati, orfani, ragazzi in pericolo
e invalidi. "Tutto - ripete - diventa possibile con un’illimitata fiducia nella Provvidenza
Divina”:
"Lui era figlio di un commerciante che proveniva dalla Provenza.
Il papà aveva un senso degli affari e anche il Cottolengo lo aveva conservato. Sapeva
abbinare la valorizzazione dei talenti, quindi il senso degli affari, con la fiducia
nella Provvidenza. Ha messo in pratica il proverbio 'Aiutati, che Dio ti aiuta'. Non
una fiducia cieca nella Provvidenza, che esentava dalla prudenza, dalla tensione,
dall’impegno. Ma una fiducia nella Provvidenza accompagnata anche da tutto ciò che
lui poteva fare con le risorse umane".
Quando nel 1833, il re Carlo Alberto
di Savoia erige l’Opera a Ente morale e lo nomina cavaliere dell’Ordine Mauriziano,
il Cottolengo non esita a costruire il primo grande ospedale da 200 posti letto. Poi
istituisce, sempre nel 1833, le Suore Vincenzine, nel 1841 le Suore della Divina Pastora
e nel 1839 le Carmelitane scalze. Si può fare allora un collegamento tra l’opera del
Cottolengo e quella dei Santi sociali piemontesi?
"In comune hanno la sensibilità
sociale, la sensibilità evangelica che respinge la pratica delle opere di misericordia.
Ciascuno affronta una situazione particolare secondo le proprie attitudini e la propria
sensibilità. Se il Cottolengo affronta il mondo della malattia, il Cafasso di quello
delle carceri, don Bosco e Murialdo di quello giovanile, Faà di Bruno del mondo delle
domestiche che migravano dalla campagna alla città. Ciascuno affrontava un aspetto
particolare, ma in comune, c’è questa sensibilità non solo sociale ma evangelica,
che li spinge a rimboccarsi le maniche, secondo le loro attitudini e secondo il bisogno
concreto".
Il 21 aprile del 1842, Cottolengo affida al canonico Anglesio,
la direzione della sua Opera, per potersi ritirare presso il fratello canonico nella
Collegiata di Chieri, cttà nella quale muore il 30 aprile di quell'anno.