Convegno di “Scienza e Vita”. Lucio Romano: la ricerca comunichi con semplicità
Usare tutti i linguaggi, non solo tecnici ma anche poetici, saper parlare ai cuori
e non solo alle intelligenze. E’ questa “l’opera di sintonizzazione” indispensabile
per la Chiesa, indicata da mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore
dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, nel suo intervento di ieri al
Convegno nazionale di “Scienza e Vita” che si chiude oggi a Roma. Ma come deve essere
strutturata, in una società sempre più affascinata dalla tecnica, una buona comunicazione
sui temi della bioetica? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Lucio Romano,
eletto oggi presidente nazionale dell’Associazione “Scienza e Vita”:
R. - Una comunicazione
che non si avvalga solamente della descrizione quantitativa della vita, ma che sappia
coniugare la dimensione biomedica della ricerca, delle applicazioni, dell’attività
assistenziale, con la dimensione antropologica valoriale. Rappresenta sicuramente
una grande sfida che richiede, però, una perfetta conoscenza delle tematiche. Richiede
anche una capacità comunicativa che possa dar luogo a una facile comprensione da parte
degli interlocutori, ma che sia rigorosa anche per quanto riguarda i contenuti antropologici.
D.
- Il tema del Convegno - “Comunicare scienza, comunicare vita” - ricorda anche l’urgenza
di un dialogo e non di una contrapposizione tra questi due ambiti. Come mettere in
comunicazione la scienza con la vita?
R. - Una ricerca che non sia manipolata,
che non sia ideologizzata ed un’antropologia che non sia manipolata e non ideologizzata.
Credo che questo sia il percorso che ci dà la possibilità di un dialogo aperto e di
una ricerca della verità e di un riconoscimento della verità. Questo è possibile attraverso
- appunto - non l’ideologizzazione delle posizioni, ma attraverso l’individuazione
di punti di sintonia e di convergenza sulla verità dell’uomo. Quale verità? Solamente
la verità di ordine biochimico, meccanico o quantitativo, sicuramente no. Né tanto
meno solamente in quella in ambito spirituale, ma in una giusta coniugazione tra la
dimensione della fede e la dimensione della ragione.
D. - In un mondo in cui
le informazioni “sono trattate al pari di una merce ed è più facile piazzare le notizie
negative”, sembra più semplice - ha detto mons. Pompili - comunicare la scienza. Serve,
invece, una comunicazione più capace di parlare il linguaggio della vita…
R.
- Sì, perché il linguaggio che si richiede per comunicare scienza è un linguaggio
semplice, un linguaggio immediato che si avvale anche di una semantica abbastanza
ridotta nei termini. La dimensione della comunicazione valoriale richiede, invece,
una semantica più complessa. Ma questo non deve significare assolutamente un’impossibilità
di una comunicazione nell’ambito valoriale. Quindi, dobbiamo far nostre quelle che
sono le nuove tecniche di comunicazione, affinché entrino nel sentire comune, attraverso
l’uso di una semantica che sia di facile comprensione da un lato e dall’altro che
sia estremamente rigorosa per quanto riguarda i contenuti. Dobbiamo prepararci a questo
nuovo campo e prepararci in modo aperto al dialogo, fermo restando che c’è un richiamo
ben preciso a quelli che sono i nostri valori antropologici di riferimento.