2012-05-05 13:55:10

A Guantanamo il processo contro le presunte menti degli attentati dell’11 settembre 2001


Si è aperto ieri a Guantanamo il processo alle cinque presunte menti degli attentati dell’11 settembre 2001, che provocarono la morte di 2.976 persone. Gli imputati dovranno rispondere di fronte a una corte militare statunitense di capi d’accusa che includono terrorismo, dirottamento aereo, associazione a delinquere, crimini di guerra e strage. Il processo contro Khalid Shaikh Mohammed, l'uomo che si è autoproclamato la mente degli attacchi, Aziz Ali, Walid Muhammad Salih Mubarak Bin Attash, Ramzi Binalshibh e Mustafa Ahmed Adam al-Hawsawi – arrestati nove anni fa – potrebbe durare oltre un anno. Su quello che è già stato ribattezzato come ‘il processo del secolo’ Stefano Leszczynski ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International - Italia:RealAudioMP3

R. - I lunghi anni di detenzione a Guantanamo, e ancora prima di Guantanamo, in altri centri segreti di detenzione, ma anche il processo che si celebra davanti ad una commissione militare, costituiscono fattispecie che sono ben lontane dagli standard internazionali sul processo equo che spetta a tutti, anche alle persone sospettate di alcuni tra i più efferati reati compiuti nella storia recente. Il rischio è che un processo di questo genere, non solo sia irregolare, ma scontenti anche la richiesta di giustizia che arriva ed è doveroso che arrivi - e Amnesty International appoggia - da parte dei sopravvissuti e da parte dei parenti delle vittime delle Torri Gemelle.

D. - Il primo quesito che viene in mente è: perché un processo militare e non un processo civile? Non c’è il rischio, in questo modo, addirittura di riconoscere a dei presunti terroristi, o alle organizzazioni terroristiche, una valenza militare processandoli in questo modo?

R. - Questo è vero. È come dire che è stata combattuta una guerra, gli sconfitti sono sotto processo, in corte marziale, e li si giudica con procedure sommarie, quasi ripagandoli della stessa moneta, rispondendo al terrorismo con violazioni dei diritti umani. C’è anche un altro motivo: le modalità con cui sono state ottenute le confessioni, in diversi casi attraverso pratiche quali il semi-annegamento, il famoso water boarding, attraverso l’isolamento, in assenza di avvocati, in un processo civile, davanti ad una corte federale, non reggerebbero. E dunque, se questi processi venissero svolti dai tribunali ordinari, qualunque giudice non ammetterebbe come prove, confessioni estorte sotto tortura. Quindi, da un certo punto di vista, è una scelta obbligata ma fallimentare, perché molto lontana dall’idea di giustizia che credo accompagni molte persone negli Stati Uniti, comprese quelle più direttamente coinvolte –purtroppo- nella strage delle Torri Gemelle.

D. – In quella giornata del 2001, 2976 morti in tutto. Ma saranno soltanto pochissimi i parenti delle vittime che potranno assistere allo svolgimento del processo. Questo, forse, lascerà un po’ una macchia sulla storia anche dell’amministrazione Obama?

R. - Credo di sì. Perché oltre al rischio che questi processi militari, se vanno avanti, possono condurre a condanne a morte ed a esecuzioni, c'è proprio l’idea di una mancanza di interruzione nella continuità delle violazioni dei diritti umani dell’era Bush, che contraddistingue l’amministrazione Obama. Guantanamo è ancora aperta. Non si vede la fine di questa detenzione a tempo indeterminato che coinvolge ancora diverse decine di persone di Guantanamo, non si vede una soluzione sul piano giudiziario, che rispetti gli standard internazionali, e quindi non sono neanche all’orizzonte dei processi civili. Da questo punto di vista le responsabilità dell’amministrazione Obama, purtroppo sono molte, ed è mancato proprio quel segnale di discontinuità, che molti attendevano quando Obama si insediò.

Aggiornato il 6 maggio 2012







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