Lettera del cardinale Piacenza: il mondo ha bisogno di sacerdoti santi
“I sacerdoti, per servire la Chiesa e il mondo, hanno bisogno di essere santi”: così
si legge nella Lettera che la Congregazione per il Clero ha indirizzato ai sacerdoti,
a firma del cardinale prefetto Mauro Piacenza, e pubblicata in questi giorni. Forte
il richiamo al mondo che vive “lacerazioni sempre più dolorose e preoccupanti” e che
ha bisogno di “una Chiesa indissolubilmente abbracciata a Cristo”. Il servizio di
Fausta Speranza:
“Le colpe di
alcuni, a volte, hanno umiliato il sacerdozio agli occhi del mondo”. Lo scrive il
cardinale Piacenza che ricorda le parole pronunciate da Giovanni Paolo II nel 2002
di fronte ad alcuni scandali di pedofilia: “noi sacerdoti – diceva – siamo scossi
nel profondo dai peccati di alcuni fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con
l’ordinazione” e che “hanno gettato un’ombra di sospetto su tutti gli altri benemeriti”.
Il cardinale Piacenza raccomanda di considerare “gli ulteriori aggravamenti delle
notizie diffuse” e dunque di “far risuonare ancora nel cuore con più forza e urgenza
le parole di Giovanni Paolo II”. Il prefetto della Congregazione per il Clero parla
di “pentimento e perdono” dai quali “si può sempre ricominciare”. Parla di un mondo
che vive quello che definisce “il dramma più grave dei nostri tempi”: “quel particolare
ateismo – spiega - che viene dall’aver dimenticato la bellezza e il calore della Rivelazione
Trinitaria”. E afferma: “sono soprattutto i sacerdoti, nella loro quotidiana adorazione
e nel loro quotidiano ministero che devono ricondurre tutto alla Comunione Trinitaria:
solo a partire da essa e immergendosi in essa, i fedeli possono scoprire davvero il
volto del Figlio di Dio e la sua contemporaneità, e possono davvero raggiungere il
cuore di ogni uomo e la patria a cui tutti sono chiamati”. E il cardinale Piacenza
aggiunge in prima persona: “Solo così noi sacerdoti possiamo offrire di nuovo agli
uomini di oggi la dignità dell’essere persona, il senso delle umane relazioni e della
vita sociale, e lo scopo dell’intera creazione.” Per poi affermare che “nessuna nuova
evangelizzazione sarà davvero possibile se noi cristiani non saremo in grado di stupire
e commuovere nuovamente il mondo con l’annuncio della Natura d’Amore del Nostro Dio.”
Un annuncio che riassume così: “Credere in un solo Dio che è Amore”. “La Chiesa, per
poter adempiere questo compito, - afferma - deve restare indissolubilmente abbracciata
a Cristo e non lasciarsene mai separare: ha bisogno di Santi che abitino ‘nel cuore
di Gesù’ e siano testimoni felici dell’Amore Trinitario di Dio. E i Sacerdoti, - aggiunge
- per servire la Chiesa e il Mondo, hanno bisogno di essere Santi!”. “Noi sacerdoti
non possiamo santificarci senza lavorare alla santità dei nostri fratelli, - sottolinea
il cardinale Piacenza - e non possiamo lavorare alla santità dei nostri fratelli senza
che abbiamo prima lavorato e lavoriamo alla nostra santità.”
Cosa dunque il
mondo di oggi, con le sue “lacerazioni sempre più preoccupanti”, deve vedere nel sacerdote?
Roberto Piermarini lo ha chiesto allo stesso cardinale Mauro Piacenza:
R. – Subito
le direi: non un punto interrogativo, ma un punto esclamativo. Evidentemente, si capisce
in che senso. Cioè, un uomo di Dio che abita nel cuore di Gesù Buon Pastore e che
sia un testimone felice, direi – che lo si veda, che lo si colga – dell’amore trinitario
di Dio. Un uomo che crede in un solo Dio che è amore, ma per quale motivo fondamentale?
Nessuna nuova evangelizzazione – e siamo nel contesto della nuova evangelizzazione
– potrebbe mai essere possibile se noi sacerdoti non fossimo in grado anche di “stupire”,
nel senso profetico della parola, e di commuovere il mondo con l’annuncio della natura
d’amore del nostro Dio, del fatto che Dio è Carità, è Amore, nelle tre Persone divine
che si esprimono e ci coinvolgono nella loro stessa vita.
D. – Pensando a quei
casi dolorosi “che hanno umiliato il sacerdozio agli occhi del mondo”, come si legge
nella sua Lettera, da dove deve ricominciare la ricerca della santità sacerdotale?
R.
– Anzitutto, direi dal pentimento e dal perdono e naturalmente, non penso soltanto
a determinati crimini orribili, quanto anche – oltre a quello che è scontato: il pentimento
e il perdono, naturalmente, da richiedersi a Dio, prima di tutto, e poi anche a tutte
le persone che sono danneggiate e alla stessa immagine di Chiesa che viene deturpata
– a tutte quelle omissioni, a tutti quegli intiepidimenti rispetto a quella che invece
dovrebbe essere la vivacità del ministero apostolico, e del cogliere l’invito ad oltrepassare
la porta fidei – uso la parola della Lettera apostolica con la quale il Santo
Padre ha indetto l’Anno della fede – accompagnando i nostri fedeli. Ecco, noi dobbiamo
riscoprire la fede del mistero che è dentro di noi: cioè, saperci meravigliare di
quello che noi siamo e quindi riscoprire, alla luce della fede, il rito della nostra
stessa ordinazione e tutto ciò che contiene anche nella sua gestualità; riscoprire
quindi con occhio di fede la nostra ontologia, la nostra identità, e ricordare che
noi non possiamo santificarci senza lavorare alla santificazione dei nostri fratelli,
e non possiamo lavorare alla santificazione dei nostri fratelli senza lavorare alla
nostra santificazione.
D. – Per potere attuare la nuova evangelizzazione,
quale impegno si richiede ai sacerdoti?
R. – E’ l’amore di Cristo che riempie
i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Quindi, prima di tutto è essere “cisterne”
di questo amore; stare con il Signore, ricevere i raggi del suo amore: come
si ricevono i raggi del sole astronomico sulla spiaggia, che fanno abbronzare; qui
si tratta di stare con il Signore e ricevere i raggi del suo amore e della sua verità.
Dobbiamo essere quindi sempre più motivati in modo, direi, “comunionale”, quindi
essere sempre più Chiesa, essere sempre più presbiterio unito con il proprio vescovo;
presbiterio unito con il proprio vescovo a sua volta unito con il Sommo Pontefice
… Cioè, riscoprire veramente il mistero della comunione. Dobbiamo rivolgere un appello
alla grande obbedienza della fede per ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede.
D.
– Perché nella Lettera lei invita i sacerdoti a lavorare in profondità sul Concilio
Vaticano II e a rileggere e riflettere sul Catechismo della Chiesa Cattolica?
R.
– Anzitutto, sul Vaticano II perché è stato un evento grandioso – il più grandioso,
ecclesialmente parlando, del secolo scorso – e che ovviamente non è finito, perché
i Concilii vanno sull’onda dei secoli, non sull’onda degli anni: è chiaro. Sono eventi
ecclesiali di portata immensa, dove è coinvolta l’azione in prima persona dello Spirito
Santo. Ma direi anche perché questo Concilio ha avuto molte persone che se ne sono
riempite la bocca ma poche persone che lo hanno studiato per come è e non lo hanno
tirato per i capelli per fargli dire quello che loro volevano che dicesse; quindi,
bisogna riscoprire i testi del Concilio, bisogna riscoprire le parole stesse
del Concilio, perché quelle sono da leggersi in ginocchio!.... perché è un evento
di Spirito Santo. Quindi dico: il Vaticano II sia nuovamente accolto come la grande
grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo e di cui deve ancora beneficiare.
Poi, deve diventare per noi una bussola sicura per orientarci nel cammino, per rispondere
alle domande della nostra gente e per organizzarci sulla nuova evangelizzazione. Ed
è una forza per il sempre necessario rinnovamento, perché non dobbiamo dimenticare
che la Chiesa, fatta di uomini peccatori, deve continuamente rinnovarsi nello Spirito
Santo, continuamente tendere l’orecchio per ascoltare cosa lo Spirito le dice, e cercare
di tenere abbassata la radio dello spirito di questo mondo, delle trasmissioni dello
spirito mondano e alzare il volume della radio che ci viene, invece, dal silenzio,
e cioè quella che ci viene dallo Spirito Santo. Io credo che si dovrebbe dire basta
ai tradimenti del Concilio Vaticano II e spalancare la porta alla obbedienza ai testi
del Concilio Vaticano II e a tutto quello che i Papi e il Magistero autentico della
Chiesa hanno detto nell’interpretare, nel leggere, nel porgere il Concilio Vaticano
II.
D. – Per quanto riguarda invece il Catechismo della Chiesa Cattolica?
R.
– Penso che il bisogno attuale sia quello di avere una norma sicura per l’insegnamento
della fede nel contesto contemporaneo. Non dimentichiamo che il Catechismo della Chiesa
Cattolica, che compie 20 anni, è il Catechismo del Concilio Vaticano II: come
c’è stato il Catechismo di Trento che ha fatto un bene immenso, noi ci aspettiamo
che possa fare altrettanto un bene immenso il Catechismo della Chiesa Cattolica che
è proprio il precipitato – potremmo dire – di tutto l’insegnamento del Vaticano II.
Quindi, direi che è strettamente connessa la valorizzazione del Concilio Vaticano
II con la valorizzazione del Catechismo della Chiesa cattolica.