2012-05-03 10:59:03

Giornata Mondiale della libertà di stampa, Consiglio d’Europa: autonomia a rischio anche in Occidente


Relazioni troppo strette e poco trasparenti tra l’autorità politica e i giornalisti sono un pericolo per la società pluralista. E’ quanto ha dichiarato il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, in occasione della Giornata mondiale per la Libertà di Stampa che si celebra oggi. “Il rispetto della libertà di stampa – ha sottolineato - dipende tanto dai governi che dai giornalisti”. Di libertà di stampa si deve parlare, dunque, non solo per Paesi sotto dittatura. Questa Giornata è stata voluta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 “per celebrare i principi fondamentali della libertà di stampa, per valutare la situazione in tutto il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza ed offrire un tributo ai giornalisti che perdono la vita nell'esercizio della loro professione”. Delle sfide attuali Fausta Speranza ha parlato con Stefano Marcelli, presidente dell’Isf, Info Security Freedom, costola italiana di Reporter sans frontières:RealAudioMP3

R. – La giornata del 3 maggio ha accompagnato il grande movimento e anche la grande speranza seguiti alla caduta del Muro di Berlino di diffondere la democrazia in tutto il mondo. Il bilancio, oggi, non è molto positivo: basta vedere i rapporti che tutte le associazioni internazionali presentano negli anni, per vedere un numero di giornalisti colleghi uccisi – quest’anno siamo a venti – ma nel 2011 sono stati più di 90 e così nel 2010. I giornalisti muoiono e quindi il bilancio non è molto positivo.

D. – Nell’ultimo anno abbaimo visto la Primavera araba: che cosa dire di questo in relazione alla libertà di stampa?

R. – La relazione si è dimostrata strettissima perché peraltro c’è sempre un legame forte perché la libertà di stampa è uno dei primi indicatori del livello di libertà, se non di democrazia, dei vari Paesi. Tutto è avvenuto sui blog. Gran parte della battaglia è stata quella per diffondere notizie e immagini di quello che accadeva e in questo modo, attraverso i social network, i telefonini, le nuove tecnologie, molti giovani e intellettuali hanno fatto cadere il muro alzato dalle dittature per impedire il contatto tra le società di questi Paesi e quello che un tempo si chiamava “il mondo libero”. Quello è stato il primo passo che poi ha aperto la strada a queste rivoluzioni che hanno abbattuto alcuni dittatori, ma non si sa ancora se ce la faranno a liberare questi popoli.

D. – Parliamo di libertà di stampa nei Paesi occidentali. Per esempio, l’opportunità che dà il blog è anche una opportunità di libertà di stampa, cioè di libertà di espressione, però, è anche una sfida perché il giornalismo è dettato anche da regole di deontologia professionale che sulla Rete in qualche modo rischiano di sfuggire, di perdersi …

R. – Certamente. Il giornalista, il giornalismo professionale, così come i grandi giornali, le grandi testate che noi siamo abituati a conoscere, sono messi in crisi da vari fattori: anche da internet, da questo che alcuni vedono – e sicuramente, oggettivamente in parte lo è – come un grande strumento di democrazia nell’informazione. Il problema, come molti osservatori fanno notare, è che se un utente va sul web non sa che merce compra. Il giornalista professionista o la testata riconosciuta è quella che garantisce – o dovrebbe garantire, quando fa bene il proprio mestiere – la qualità, cioè la veridicità delle informazioni. Lo vediamo anche nelle Primavere arabe: noi non siamo in grado di verificare se le notizie che ci arrivano dai militanti della Siria, come è successo per la Libia, siano vere o no, perché siamo di fronte a propaganda, non a informazione obiettiva.

D. – Quindi, la sfida è anche quella di reinventare la comunicazione, paradossalmente proprio in questa epoca di massima comunicazione e interdipendenza e globalizzazione … Dunque, non solo giornalisti che muoiono in zone di guerra o comunque in zone di regime, ma anche un giornalismo da ripensare?

R. – Giornalismo da difendere e da ripensare: sono decine di migliaia, ormai, i giornalisti che hanno perso il posto di lavoro negli Stati Uniti, in Europa, nelle grandi testate. C’è una crisi pesante del nostro giornalismo che chiaramente rende meno autonoma la categoria. E poi, c’è la sfida del web, ma io sono convinto che il giornalismo professionale possa sopravvivere anche all’interno del web. Però deve fare innanzitutto un’operazione: ricordarsi che il proprio ruolo è basato su principi etici deontologici e professionali.







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