Giornata Mondiale della libertà di stampa, Consiglio d’Europa: autonomia a rischio
anche in Occidente
Relazioni troppo strette e poco trasparenti tra l’autorità politica e i giornalisti
sono un pericolo per la società pluralista. E’ quanto ha dichiarato il segretario
generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, in occasione della Giornata mondiale
per la Libertà di Stampa che si celebra oggi. “Il rispetto della libertà di stampa
– ha sottolineato - dipende tanto dai governi che dai giornalisti”. Di libertà di
stampa si deve parlare, dunque, non solo per Paesi sotto dittatura. Questa Giornata
è stata voluta dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 “per celebrare
i principi fondamentali della libertà di stampa, per valutare la situazione in tutto
il mondo, per difendere i media dagli attacchi alla loro indipendenza ed offrire un
tributo ai giornalisti che perdono la vita nell'esercizio della loro professione”.
Delle sfide attuali Fausta Speranza ha parlato con Stefano Marcelli,
presidente dell’Isf, Info Security Freedom, costola italiana di Reporter sans frontières:
R. – La giornata
del 3 maggio ha accompagnato il grande movimento e anche la grande speranza seguiti
alla caduta del Muro di Berlino di diffondere la democrazia in tutto il mondo. Il
bilancio, oggi, non è molto positivo: basta vedere i rapporti che tutte le associazioni
internazionali presentano negli anni, per vedere un numero di giornalisti colleghi
uccisi – quest’anno siamo a venti – ma nel 2011 sono stati più di 90 e così nel 2010.
I giornalisti muoiono e quindi il bilancio non è molto positivo.
D. – Nell’ultimo
anno abbaimo visto la Primavera araba: che cosa dire di questo in relazione alla libertà
di stampa?
R. – La relazione si è dimostrata strettissima perché peraltro c’è
sempre un legame forte perché la libertà di stampa è uno dei primi indicatori del
livello di libertà, se non di democrazia, dei vari Paesi. Tutto è avvenuto sui blog.
Gran parte della battaglia è stata quella per diffondere notizie e immagini di quello
che accadeva e in questo modo, attraverso i social network, i telefonini, le nuove
tecnologie, molti giovani e intellettuali hanno fatto cadere il muro alzato dalle
dittature per impedire il contatto tra le società di questi Paesi e quello che un
tempo si chiamava “il mondo libero”. Quello è stato il primo passo che poi ha aperto
la strada a queste rivoluzioni che hanno abbattuto alcuni dittatori, ma non si sa
ancora se ce la faranno a liberare questi popoli.
D. – Parliamo di libertà
di stampa nei Paesi occidentali. Per esempio, l’opportunità che dà il blog è anche
una opportunità di libertà di stampa, cioè di libertà di espressione, però, è anche
una sfida perché il giornalismo è dettato anche da regole di deontologia professionale
che sulla Rete in qualche modo rischiano di sfuggire, di perdersi …
R. – Certamente.
Il giornalista, il giornalismo professionale, così come i grandi giornali, le grandi
testate che noi siamo abituati a conoscere, sono messi in crisi da vari fattori: anche
da internet, da questo che alcuni vedono – e sicuramente, oggettivamente in parte
lo è – come un grande strumento di democrazia nell’informazione. Il problema, come
molti osservatori fanno notare, è che se un utente va sul web non sa che merce compra.
Il giornalista professionista o la testata riconosciuta è quella che garantisce –
o dovrebbe garantire, quando fa bene il proprio mestiere – la qualità, cioè la veridicità
delle informazioni. Lo vediamo anche nelle Primavere arabe: noi non siamo in grado
di verificare se le notizie che ci arrivano dai militanti della Siria, come è successo
per la Libia, siano vere o no, perché siamo di fronte a propaganda, non a informazione
obiettiva.
D. – Quindi, la sfida è anche quella di reinventare la comunicazione,
paradossalmente proprio in questa epoca di massima comunicazione e interdipendenza
e globalizzazione … Dunque, non solo giornalisti che muoiono in zone di guerra o comunque
in zone di regime, ma anche un giornalismo da ripensare?
R. – Giornalismo da
difendere e da ripensare: sono decine di migliaia, ormai, i giornalisti che hanno
perso il posto di lavoro negli Stati Uniti, in Europa, nelle grandi testate. C’è una
crisi pesante del nostro giornalismo che chiaramente rende meno autonoma la categoria.
E poi, c’è la sfida del web, ma io sono convinto che il giornalismo professionale
possa sopravvivere anche all’interno del web. Però deve fare innanzitutto un’operazione:
ricordarsi che il proprio ruolo è basato su principi etici deontologici e professionali.