Al via oggi, a Pechino, il vertice annuale tra Cina e Stati Uniti, alla presenza del
segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Numerosi i temi in agenda: dalla tutela
dei diritti umani, agli scambi economici tra i due Paesi, divenuti sempre più importanti
in questi ultimi anni. Su una cosa non ci sono dubbi, l’amministrazione Obama ha rivolto
fin dall’inizio il suo sguardo verso l’Estremo Oriente, determinando e subendo – anche
in seguito alla crisi – lo spostamento dell’asse economico verso quell’area. Salvatore
Sabatino ne ha parlato con Valeria Zanier, docente di Economia dell’Asia
Orientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia:
R. - La Cina
mantiene una posizione molto forte riguardo agli Stati Uniti. C’è una grande presenza
di capitali cinesi che danno sostanza al debito pubblico americano, a differenza di
quanto avviene invece tra Cina e i Paesi europei, dove ancora questa presenza è molto
limitata. E comunque, Pechino ha dato più volte manifestazioni a Washington di voler
andare incontro ai desideri degli Stati Uniti e alle critiche che questi hanno posto
per anni riguardo una politica non leale nei riguardi dei propri partner commerciali
da parte del Paese asiatico.
D. - Questo asse economico tra Pechino e Washington
che tipo di ricadute ha sull'area in cui si affacciano anche le nuove potenze come
l’India, o come il Myanmar che vive una fase di transizione delicatissima?
R.
- Cina e Stati Uniti stanno riprendendo l’alleanza per quanto riguarda l’area del
Pacifico. In questo, la Cina è stata molto proattiva negli ultimi tre o quattro anni,
prendendo parte a vari trattati economici multilaterali. Quindi, sicuramente, si può
dire che la Cina ha fortificato il suo ruolo nell’area e adesso gli Stati Uniti sono
sicuramente paritari come partner. Però, devono tener conto di un ruolo più preponderante
di Pechino, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra Cina e Corea, Cina e Sudest
asiatico. Presumibilmente, anche il Myanmar fa parte di quelle economie in cui la
Cina avrà sempre più peso.
D. - Sull’altro fronte c’è l’Europa che vive, come
sappiamo, un momento di grande crisi e che incassa però l’appoggio di Pechino. A ribadirlo
è il vice premier cinese, Li Keqiang, che si trova a Bruxelles per incontri con i
vertici delle istituzioni europee. Molti analisti parlano di pericolo di invasione
economica cinese: un rischio concreto?
R. - Di questo si parla a ondate. In
realtà, la presenza economica cinese in Europa c’è ma è molto variegata. Ci sono Paesi
come la Svezia, l’Olanda, la Germania che hanno visto un incremento pauroso di investimenti
cinesi. Altri, come l’Italia o l’Ungheria che magari si aspettavano dei grandi investimenti
cinesi, sono invece rimasti per il momento in posizioni defilate. Sicuramente, c’è
questo interesse della Cina verso l’Europa. Però, sono un po’ dubbiosa sul fatto che
abbia in mente di risollevare l’Europa dalla sua crisi.
D. - E infine l’Africa,
altro continente che subisce molto l’influenza cinese. Qui, singoli Stati hanno firmato
accordi miliardari con Pechino per la costruzione di infrastrutture. Come vede il
futuro su questo fronte?
R. - A differenza dell’azione svolta in Europa, qui
la Cina è entrata massicciamente, non ci sono più dubbi. La Cina ha attivamente portato
avanti, assieme ai governi locali, lo sviluppo di settori chiave, specie i settori
dell’energia, ma anche delle infrastrutture in diversi Stati africani, soprattutto
l’Angola o il Sudan e altri. Ormai, la Cina ha un peso che mantiene. Quello che dovrebbe
sviluppare, quello di cui appunto si parla da un po’ di tempo in Cina è il suo tentativo
di sviluppo di un mercato per i suoi prodotti in Africa, proprio come alternativa
ai mercati occidentali e ai mercati più sviluppati, che invece hanno subito questa
pesante crisi. L’Africa ha una composizione sociale molto differente, però per alcuni
settori di beni di consumo, è praticamente pronta a ricevere tutto quello che la Cina
può offrire.
E in queste ore Stati Uniti e Cina sono bloccati in una disputa
diplomatica intorno alla sorte del dissidente cieco, Chen Guangcheng, da ieri piantonato
dalla polizia cinese nell'ospedale Chaoyang di Pechino dopo essere fuggito dagli arresti
domiciliari e aver trascorso sei giorni nell'ambasciata americana. Su questa vicenda
-ha detto il portavoce della Casa Bianca- gli Stati Uniti continueranno a vigilare.