Myanmar: la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi entra in Parlamento
Il premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi ha prestato oggi giuramento davanti al
Parlamento birmano, ponendo fine a una settimana di stallo per approvare il suo primo
mandato elettorale. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Aung San Suu
Kyi è ufficialmente un membro del parlamento birmano. L’insediamento questa mattina,
dopo il giuramento; un atto atteso, ma non scontato. Perché la formula di prassi prevede
la salvaguardia della Costituzione, che assicura ampi poteri ai militari. Gli stessi
che negli ultimi 20 anni hanno trasformato la sua lotta politica in una dura detenzione.
Proprio quella formula da pronunciare ufficialmente aveva acceso una serie di polemiche
e nelle scorse settimane aveva portato la leader della Lega Nazionale per la Democrazia
ad annunciare la rinuncia del seggio. Decisione, poi, superata dai fatti e considerata
da molti un ulteriore tassello verso quella normalizzazione tanto sperata. Francesco
Montessoro, docente di Storia dell’Asia presso l’Università Statale di Milano:
R.
– La normalizzazione è in corso e si è aperta una fase in cui si ha una dialettica
relativamente normale. Il dato di fondo è che Aung San Suu Kyi partecipa alla vita
politica nazionale e può incidere in vario modo nel suo corso.
D. – Il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in visita in Myanmar, ha esortato il presidente birmano,
Thein Sein, e la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, a lavorare insieme per
portare avanti i cambiamenti necessari al Paese. Sarà possibile una collaborazione,
secondo lei?
R. – Secondo me, è probabile che si giunga ad una collaborazione,
nel senso che vi sono molte forze interne, intanto, e poi anche internazionali, che
fanno pressioni in questa direzione: non soltanto le Nazioni Unite, ma anche la Cina,
e non solo gli Stati Uniti, naturalmente.
D. – Quali possono essere gli argomenti
su cui sarà possibile poi costruire una discussione?
R. – Intanto la partecipazione
al potere, quello che sta accadendo in Birmania o Myanmar, è precisamente questo:
l’accoglimento del ruolo, dello spazio politico di quella che era l’opposizione, un
accoglimento che i generali birmani hanno accettato nel corso degli ultimi anni. C
che è accaduto con la Costituzione del 2008 e con le elezioni del 2010 è una sorta
di apertura programmata all’opposizione, naturalmente entro certi limiti. D. –
Il Myanmar ha pagato un prezzo altissimo, in seguito alle sanzioni imposte in questi
anni dall’Occidente. Ora che anche questo scoglio sta per essere superato ce la farà
ad emergere economicamente? Ricordiamo che, comunque, è uno dei Paesi più poveri al
mondo...
R. – E’ uno dei Paesi più poveri al mondo, ma è anche un Paese dotato
di risorse e di una posizione strategica ragguardevole e, dunque, probabilmente riuscirà
ad inserirsi in un’area, quella dell’Asia orientale, in generale, che è in rapida
ascesa. D. – Proprio su questo fronte, ora che il Myanmar si sta aprendo al mondo,
quanto conterà sullo scacchiere asiatico? R. – In un certo senso, conta relativamente
poco e conterà ancora relativamente poco, poiché non è un Paese che abbia una posizione
strategica così rilevante da condizionare la politica dei propri vicini. Non bisogna
esagerare con il riconoscere al Myanmar un ruolo notevole. Però, è un Paese che ha
un suo profilo interessante, soprattutto perché riesce a giocare – e lo ha fatto negli
ultimi decenni – con i propri vicini abbastanza bene. Non è mai stato il Myanmar un
Paese nelle mani di Pechino, come spesso in maniera propagandistica si è sostenuto.
Si tratta piuttosto di un Paese che ha saputo equilibrare il rapporto con la Cina,
con l’India e con la Thailandia e, dunque, questo ruolo probabilmente continuerà ad
essere svolto.