Arriva nei cinema il film su suor Maria Mazzarello, cofondatrice delle Figlie di Maria
Ausiliatrice
“Maìn la casa della felicità” è il titolo del film sulla figura di Maria Domenica
Mazzarello che viene presentato oggi ai giornalisti e, in anteprima mondiale, domani
presso l’Auditorium Parco della musica di Roma. Una pellicola che racconta la storia
della cofondatrice, con don Bosco, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
canonizzata da Pio XII nel 1951. Il film è stato pensato in occasione del 140.mo anniversario
della fondazione dell’Istituto che oggi è presente in 94 nazioni dei 5 continenti
con oltre 13 mila suore e più di 250 novizie. Benedetta Capelli ha intervistato
suor Caterina Cangià, che ha curato il film nell’ideazione, nella sceneggiatura
e nella produzione:
R. – E’ stato
il mio Istituto che ha avuto l’idea, quindi il Consiglio generalizio ha preso contatto
con me, perché già in precedenza, nel 2002, avevo prodotto un cd rom con nove clip
musicali e immagini. Allora, forte di quella mia esperienza, mi hanno chiesto di realizzare
il film e almeno di prendermene cura. Man mano che io procedevo, mi sono resa conto
che era necessaria una casa di produzione – qui il nodo più grande – e ho deciso di
far nascere una casa di produzione dalla mia casa editrice, la Multidea. Ho fatto
domanda al Ministero, che ci ha concesso di essere casa di produzione. Ho coinvolto
molte persone, ho fatto lavorare tanti giovani e mi sono messa al loro fianco per
produrre lavoro e al tempo stesso scegliere gente con competenza rilevante e notevole.
D.
– Questo film racconta la storia di Maria Domenica Mazzarello. Come lo avete pensato?
R.
– Intanto ho desiderato raggiungere varie fasce di età e ho iniziato quindi da Maìn,
come la chiamavano i suoi cari, perché Maria in piemontese si dice proprio Maìn. Ho
iniziato da quando aveva 11, 12 anni – l’età della sua Prima Comunione, dei primi
capricci – e poi sono andata avanti mostrandola già adolescente, a 18 anni, quando
fa parte di un’associazione di Figlie dell’Immacolata. Poco a poco ho raccontato tutta
la sua vita, fino alla morte, una morte luminosissima, raccontata appena con la malattia,
e poi descritta con un’immagine alla Terence Malick: un letto luminoso, vuoto, e un
bellissimo Crocifisso, accompagnato da un suo pensiero. Il film non chiude con questa
scena, ma chiude con tutta una serie di immagini di archivio - dalla sua morte in
poi - di come l’Istituto si sia espanso nel mondo, di come sia cresciuto.
D.
– E come viene invece indagato il rapporto con don Bosco?
R. – Si parla di
don Bosco già prima del suo arrivo, quando il suo direttore spirituale, anticipa la
sua venuta. Quindi, la gioia e l’entusiasmo si legge negli occhi di Maria e nel suo
sorriso. Don Bosco arriva e c’è un incontro di sguardi che, nella storia era tradotto
dall’espressione: “Don Bosco è un santo, io lo sento”, un’impressione detta da Maria
Domenica Mazzarello e riportata nella cronistoria. Poi, don Bosco lo si vede alla
professione religiosa, dove pronuncia i due messaggi più belli, che avrebbe potuto
dire: “Voi siete monumento vivo all’Ausiliatrice”. Così vediamo Maìn, le sue consorelle
in abito da religiose e poi vediamo che lui affida loro a lei. Sono due brevi discorsi.
Ci sono poche parole all’interno del film fra don Bosco e Maìn ma estremamente intense,
molto ben scelte e vince soprattutto questo sguardo che si scambiano.
D. –
Oggi che esempio di santità è quello di Maria Domenica Mazzarello?
R. – E’
un esempio di santità possibile, di santità direi quasi grintosa, di santità che vuol
portare avanti un progetto. Possiamo rileggerla noi adulti, e i ragazzi soprattutto,
in quest’ottica. Perciò è un esempio che ci dice che si può fare: si possono avere
idee, si possono insegnare cose ai ragazzi e soprattutto si può far sì che i ragazzi
ci seguano.
D. – Perché Maìn, la casa della felicità?
R. – Maìn è lei
e la casa della felicità è ancora lei. Noi siamo casa, quando siamo accoglienza per
gli altri, quando siamo apertura, quando siamo in un certo senso reciprocità. La casa
è anche l’ambiente, certamente, un ambiente che è quello delle mura, accogliente,
bello, ma la casa è ambiente anche per quello che è il contesto: il contesto storico,
il contesto del luogo dove siamo, il contesto di città, di paese, di quartiere. La
casa della felicità. Lei diceva: “Questa è la casa dell’amore di Dio” e aveva fatto
fare un cartellone proprio sulle pareti del porticato. Oggi scrivere un titolo così
lungo sarebbe impossibile, ma c’è felicità quando c’è amore di Dio e così ho sintetizzato.
D.
– Ha un messaggio da rivolgere ai nostri ascoltatori per questo film?
R. –
Andatelo a vedere, perché vi racconterà la santità in una maniera vivace, in una maniera
curatissima, dal punto di vista dell’immagine, dell’illuminazione e della recitazione
degli attori. Un film che va visto, e non perché l’ho fatto io!