2012-05-01 09:32:37

Le diocesi lombarde: dalla crisi del lavoro si esce guardando all’etica


“La persona è il soggetto irrinunciabile del mondo del lavoro, titolare di diritti e doveri implicati dalla sua stessa dignità”: è quanto affermano gli Uffici di Pastorale sociale e del lavoro della Lombardia che in occasione dell’odierna Festa del Lavoro hanno pubblicato uno speciale documento. Nel testo, si invita a non guardare al lavoro solo in un’ottica economicistica, ma a cercare soluzioni immediate alla crisi attuale partendo da principi etici. Isabella Piro ne ha parlato con don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la pastorale sociale e il lavoro della diocesi di Milano:RealAudioMP3

R. - La crisi può diventare occasione di discernimento e di nuova progettualità. La crisi ci obbliga a darci nuove regole in una chiave che deve essere fiduciosa, piuttosto che rassegnata. Non si può pensare sempre in una logica economicistica: il cuore della crisi è etico, morale, legato a logiche di perdita di centralità della persona.

D. - Il documento guarda anche avanti, al VII Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano tra un mese?

R. - Il titolo dell’Incontro mondiale delle famiglie è “La famiglia: il lavoro e la festa” e quindi non si può non ritrovare una centralità del lavoro per il sostegno della famiglia e anche per recuperare poi la festa, e quindi la domenica, come giorno in cui le famiglie possono vivere senza la preoccupazione del lavoro.

D. - In preparazione alla festa del primo maggio, nella diocesi di Milano e nelle diocesi lombarde, si sono tenute delle veglie di preghiera. Perché oggi si avverte così tanto il bisogno di pregare per il lavoro?

R. - Pregare per il lavoro significa non deresponsabilizzarsi, ma affidare anche al Signore una questione grande del mondo di oggi. Noi preghiamo per il lavoro e, in generale, preghiamo per i lavoratori, quindi la centralità resta quella della persona. Per noi, è necessario sostenere le persone che oggi vivono soprattutto un tempo di precariato.

D. - La prima veglia di preghiera per il lavoro si tenne nel 1980. Come è cambiata, in più di trent’anni, la percezione del lavoro?

R. - Il grande cambiamento - Benedetto XVI ce lo suggerisce nella Caritas in veritate – si chiama globalizzazione: in questi trent’anni, noi sempre abbiamo sentito la necessità di continuare ad affidare al Signore le sorti degli uomini e delle donne che vivono nella realtà del lavoro, un lavoro che sta cambiando, che è in evoluzione, ma che resta sempre parte della quotidianità e della vita delle persone. Il lavoro non è semplicemente qualcosa che poi porta, a fine mese, uno stipendio, ma è anzitutto un qualcosa che permette alle persone di dare un senso al loro esistere, al loro identificarsi, e questo noi lo vogliamo custodire.

D. - Qual è il contributo della Chiesa per uscire da questa crisi?

R. - Dalla crisi si esce insieme. Si esce insieme proprio perché sentiamo che è importante, ad esempio, per le persone che oggi vivono la mancanza di lavoro, che non si sentano sole e che come Chiesa noi capiamo che la mancanza del lavoro non è un problema che riguarda solo chi non ha lavoro, ma che ci tocca tutti. La Caritas in veritate dice che l’estromissione dal lavoro per lungo tempo mina la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. E, ahimé, la situazione per cui abbiamo visto persone di diversi ceti sociali che, a causa della crisi lavorativa, si sono tolte la vita, non ci può non portare a sentire ancora di più l’urgenza di pregare per questo.

D. - Il messaggio della Chiesa è comunque un messaggio di speranza…

R. - Assolutamente! Io credo che noi dalla crisi usciremo grazie alla dignità delle persone che non perdono quel senso etico acquisito, persone che hanno compreso che è possibile vivere in maniera diversa. Cioè, dalla crisi si esce, ma si uscirà diversi: si uscirà migliori se si sarà superata una logica eccessivamente consumistica e si sarà invece trovata una via di maggiore solidarietà, di maggiore capacità di conoscere l’altro, di minore attaccamento a “mammona”.







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