Le diocesi lombarde: dalla crisi del lavoro si esce guardando all’etica
“La persona è il soggetto irrinunciabile del mondo del lavoro, titolare di diritti
e doveri implicati dalla sua stessa dignità”: è quanto affermano gli Uffici di Pastorale
sociale e del lavoro della Lombardia che in occasione dell’odierna Festa del Lavoro
hanno pubblicato uno speciale documento. Nel testo, si invita a non guardare al lavoro
solo in un’ottica economicistica, ma a cercare soluzioni immediate alla crisi attuale
partendo da principi etici. Isabella Piro ne ha parlato con don Walter Magnoni,
responsabile del Servizio per la pastorale sociale e il lavoro della diocesi di Milano:
R. - La crisi
può diventare occasione di discernimento e di nuova progettualità. La crisi ci obbliga
a darci nuove regole in una chiave che deve essere fiduciosa, piuttosto che rassegnata.
Non si può pensare sempre in una logica economicistica: il cuore della crisi è etico,
morale, legato a logiche di perdita di centralità della persona.
D. - Il documento
guarda anche avanti, al VII Incontro mondiale delle famiglie che si terrà a Milano
tra un mese?
R. - Il titolo dell’Incontro mondiale delle famiglie è “La famiglia:
il lavoro e la festa” e quindi non si può non ritrovare una centralità del lavoro
per il sostegno della famiglia e anche per recuperare poi la festa, e quindi la domenica,
come giorno in cui le famiglie possono vivere senza la preoccupazione del lavoro.
D. - In preparazione alla festa del primo maggio, nella diocesi di Milano
e nelle diocesi lombarde, si sono tenute delle veglie di preghiera. Perché oggi si
avverte così tanto il bisogno di pregare per il lavoro?
R. - Pregare per il
lavoro significa non deresponsabilizzarsi, ma affidare anche al Signore una questione
grande del mondo di oggi. Noi preghiamo per il lavoro e, in generale, preghiamo per
i lavoratori, quindi la centralità resta quella della persona. Per noi, è necessario
sostenere le persone che oggi vivono soprattutto un tempo di precariato.
D.
- La prima veglia di preghiera per il lavoro si tenne nel 1980. Come è cambiata, in
più di trent’anni, la percezione del lavoro?
R. - Il grande cambiamento - Benedetto
XVI ce lo suggerisce nella Caritas in veritate – si chiama globalizzazione: in questi
trent’anni, noi sempre abbiamo sentito la necessità di continuare ad affidare al Signore
le sorti degli uomini e delle donne che vivono nella realtà del lavoro, un lavoro
che sta cambiando, che è in evoluzione, ma che resta sempre parte della quotidianità
e della vita delle persone. Il lavoro non è semplicemente qualcosa che poi porta,
a fine mese, uno stipendio, ma è anzitutto un qualcosa che permette alle persone di
dare un senso al loro esistere, al loro identificarsi, e questo noi lo vogliamo custodire.
D. - Qual è il contributo della Chiesa per uscire da questa crisi?
R.
- Dalla crisi si esce insieme. Si esce insieme proprio perché sentiamo che è importante,
ad esempio, per le persone che oggi vivono la mancanza di lavoro, che non si sentano
sole e che come Chiesa noi capiamo che la mancanza del lavoro non è un problema che
riguarda solo chi non ha lavoro, ma che ci tocca tutti. La Caritas in veritate dice
che l’estromissione dal lavoro per lungo tempo mina la libertà e la creatività della
persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico
e spirituale. E, ahimé, la situazione per cui abbiamo visto persone di diversi ceti
sociali che, a causa della crisi lavorativa, si sono tolte la vita, non ci può non
portare a sentire ancora di più l’urgenza di pregare per questo.
D. - Il messaggio
della Chiesa è comunque un messaggio di speranza…
R. - Assolutamente! Io credo
che noi dalla crisi usciremo grazie alla dignità delle persone che non perdono quel
senso etico acquisito, persone che hanno compreso che è possibile vivere in maniera
diversa. Cioè, dalla crisi si esce, ma si uscirà diversi: si uscirà migliori se si
sarà superata una logica eccessivamente consumistica e si sarà invece trovata una
via di maggiore solidarietà, di maggiore capacità di conoscere l’altro, di minore
attaccamento a “mammona”.