Paesi europei bloccati dalla crisi: le risposte della finanza etica. Intervista a
Fabio Salviato
La crisi finanziaria blocca lo sviluppo dei Paesi europei, le istituzioni nazionali
sembrano incapaci di gestire il fenomeno mentre cresce il consenso tra i cittadini
per movimenti nazionalisti e antigovernativi, in contrasto alla volontà del potere
finanziario di non erogare capitali alle piccole e medie aziende, ad artigiani e agricoltori.
Un fenomeno che le banche etiche e di credito cooperativo possono invertire, grazie
ad un processo di razionalizzazione delle risorse e alla conoscenza delle potenzialità
del territorio, rispetto alla finanza tradizionale che fa del profitto il punto di
riferimento. Luca Collodi ne ha parlato con Fabio Salviato, presidente
di Febea, Società europea di finanza etica.
R. – E’ una
situazione di crisi, rispetto alla quale si può uscire soltanto cambiando mentalità
e definendo delle regole chiare e precise. Sono quattro o cinque anni che si parla
di regole dei mercati, soprattutto di quelli finanziari, ma fino a quando non si definiscono
delle regole chiare, non si recupera un rapporto di fiducia - non solo nei mercati
ma anche nelle istituzioni finanziarie e non si inizia a dare credito. Ricordiamo
che dare credito vuol dire dare fiducia alle imprese, agli artigiani e agli agricoltori.
D. – La finanza etica come può cambiare la situazione di crisi dell’Europa?
R.
– La può cambiare iniziando un processo di razionalizzazione delle risorse. A parità
di risorse economiche, pure scarse che siano, le iniziative che finanziano le banche
etiche creano occupazione, occupazione stabile. In Germania, ad esempio, sulle rinnovabili,
in 10 anni si è creato un milione di nuovi posti di lavoro. Immaginiamo l’Italia,
con due terzi di solarizzazione in più rispetto alla Germania, quali potenzialità
possa offrire. Sull’agricoltura biologica c’è la possibilità di creare, settore dove
già lavorano il doppio degli occupati rispetto alla Fiat e con una possibilità di
incremento occupazionale del settore consistente. Bacini occupazionali che sono finanziati
soprattutto dalle banche etiche ma che dovrebbero essere ulteriormente sostenuti ed
appoggiati sia dal cittadino - che diventerebbe così responsabile del proprio risparmio
- sia dalle istituzioni, che cominciano a vedere in una finanza ‘socialmente responsabile’
una via d’uscita rispetto ad una finanza che oggi, purtroppo, vede sulla massimizzazione
del profitto il suo punto di riferimento.
D. – Gli imprenditori fanno fatica
a finanziare le proprie aziende. Le banche etiche possono invertire questa tendenza?
R.
– Guardi, è possibile costruire l’economia rimettendo al centro la persona, per rispondere
ai suoi bisogni, promuovendo un’economia reale che risponda a bisogni reali. Ma dobbiamo
diminuire moltissimo la finanza del capitale e recuperare quello spirito di raccolta
del risparmio per dare credito all’impresa e agli imprenditori. Recuperando questo
tipo di attività si riuscirà ad uscire più rapidamente dalla crisi. Ed è proprio quello
che la finanza etica sta facendo.
D. – Chi guida la finanza a livello europeo,
però, sembra emarginare quest’esperienza di finanza popolare…
R. – Quello che
dice, in parte, è vero. Bisogna farsi sentire un po’ di più a livello europeo ed internazionale:
ci sono processi regolamentari che mettono anche in difficoltà le medie e piccole
banche. Le mettono in difficoltà dal punto di vista normativo, penso a Basilea 3,
nella concessione del credito. Le banche di credito cooperativo e quelle popolari
devono fare uno sforzo comune e congiunto – soprattutto a livello europeo – per dimostrare
che la buona pratica e l’esperienza di banche radicate nel territorio, che conoscono
effettivamente le realtà territoriali, stanno dando, in questo momento, una risposta
concreta – magari con limiti ma concreta – ai bisogni che stanno emergendo sempre
più dalla società civile, dalla popolazione e dagli imprenditori.