La plenaria delle Scienze Sociali dedicata alla "Pacem in terris". Intervista con
Mary Ann Glendon
È la celebre Enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris a ispirare i lavori
della 18.ma plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, che si apre
oggi e terminerà il primo maggio prossimo. Alla presidente dell’Accademia, la prof.ssa
Mary Ann Glendon che stamani ha aperto la plenaria, Stefano Leszczynski
ha chiesto di illustrare le finalità dell'assise di quest0anno e l’attualità di pensiero
della Pacem in terris:
R. – As the
Pope has often said, peace is something that has to be built … Come il Papa ha
ripetuto spesso, la pace è una cosa che deve essere costruita e conquistata in ogni
generazione. In questa Conferenza, abbiamo riunito persone del mondo finanziario,
come Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, che parleranno dei gravi
problemi in ambito economico. Speriamo, alla fine di questa Conferenza, di poterci
fare un’idea dei segni di speranza che queste persone possono darci, o cosa sapranno
dirci delle nuove forze e delle nuove idee, soprattutto di quello che può riguardare
noi. O ancora, quale possa essere il ruolo della religione nella ricerca di quella
tranquillità dell’ordine che è la pace.
D. – Uno dei principali problemi che
abbiamo rilevato in questi ultimi anni, negli ambiti finanziaio e politico, è il collasso
della moralità globale. Come la Pacem in terris può aiutare i leader a trovare
una nuova interpretazione della moralità da applicare ai loro campi specifici?
R.
– It seems to me that just before Vatican II, John XXIII was telling us … Mi pare
di ricordare che poco prima del Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII dicesse cose
che solo oggi riusciamo a comprendere meglio di quanto non sia stato possibile allora.
Una di esse afferma che sono soprattutto “tutte le persone di buona volontà” che hanno
il compito di costruire la pace – oggi diremmo, sostanzialmente i laici, per quanto
riguarda la Chiesa. E’ da notare che già allora egli ci diceva che la Chiesa non indica
politiche o programmi specifici: la Chiesa, piuttosto, indica alcuni principi generali
e ci chiede di farli rivivere in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi ambito della
società ci troviamo a vivere. Penso, quindi, che il messaggio della Pacem in terris
si riveli per essere non una nuova teoria delle relazioni internazionali di stampo
cattolico, o una nuova teoria di moralità internazionale, quanto piuttosto un messaggio
per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, in tutto il mondo, affinché cerchino
in loro stessi e all’interno delle loro tradizioni le risorse per costruire la pace.
D.
– Seguendo questo percorso sarà possibile ottenere una governance globale,
o si tratta semplicemente di un ideale che non possiamo realizzare nel mondo reale?
R.
– I think the great contribution of Catholic social thought … Credo che il grande
contributo del pensiero sociale cattolico in questo campo, che noi definiamo “sussidiarietà”,
e che ci sono determinate cose che riescono al meglio quando sono messe in pratica
stando il più vicino possibile alle persone interessate da queste decisioni. Bisogna
quindi essere molto cauti quando si parla di governance globale e tenere ben
presente che è necessario sviluppare approcci internazionali o transnazionali a quei
problemi che non possono essere trattati a livelli di responsabilità più bassi. Nel
pensiero sociale cattolico, non c’è nulla che comprenda il governo mondiale.
D.
– Una domanda sulla libertà di religione: lei ha affrontato questo tema nella 16.ma
sessione plenaria. Quali sono le minacce alla libertà di religione, oggi? Lei pensa
che in questo momento negli Stati Uniti, uno dei Paesi che maggiormente tutela le
libertà fondamentali ed i diritti umani, la libertà religiosa sia minacciata?
R.
– The threats are different. Last year, in our plenary session… Le minacce sono
di tipo diverso. L’anno scorso, nella nostra sessione plenaria sui diritti umani,
abbiamo investito molto tempo analizzando eccellenti indagini di scienze sociali sullo
stato della libertà religiosa nel mondo. Tra ciò che è emerso, c’è che il 70% delle
persone nel mondo vivono in condizioni di restrizioni, da moderate a gravi, della
libertà religiosa. Gran parte di queste restrizioni si verifica in Paesi con popolazioni
molto numerose, come la Cina e l’India. Si potrebbe dire, quindi, che in alcune parti
del mondo le minacce alla libertà religiosa sono spesso vere e proprie persecuzioni
dirette e violente, mentre in altre parti del mondo – come in molte nazioni occidentali
– sono più sottili e si manifestano in una graduale emarginazione della voce religiosa
dal dibattito pubblico, e in alcuni casi nell’inizio di una vera e propria discriminazione.