La Lega Araba condanna le violenze tra Sudan e Sud Sudan. Appello di Caritas Internationalis
E’ giunta ieri la condanna della Lega Araba per gli scontri in corso da settimane
al confine tra Sudan e Sud Sudan. Intanto in Consiglio di Sicurezza Onu si sta vagliando
una bozza di risoluzione, proposta dagli Stati Uniti, nella quale si chiede la fine
delle ostilità. Una richiesta avanzata anche dalla Caritas Internationalis che ha
lanciato anche l’allarme per sicurezza degli operatori umanitari che operano nei due
Paesi. Marco Guerra ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell'area
internazionale di Caritas Italiana:
R. – Al di
là delle questioni specifiche degli operatori umanitari, che hanno coinvolto anche
operatori della Caritas, che quindi trovano sempre maggiori difficoltà a lavorare
sul terreno - sequestri, intimidazioni, aiuti umanitari che non arrivano a destinazione
– al di là di questo, che non ci permette di lavorare al servizio della popolazione,
il tema complessivo più grave è un crescente conflitto, che rischia di deflagrare
tra Sudan e Sud Sudan, in tutta l’area di confine, ma in particolare in alcuni punti
contesi per i diritti delle estrazioni del petrolio. La gente e i profughi, le vittime,
ci dicono che siamo arrivati ad un punto di non ritorno e bisogna, quindi, intervenire
velocemente con la forza del dialogo e della mediazione per evitare il peggio.
D.
– Sul fronte umanitario qual è la situazione?
R. – C’è la zona di confine,
in particolare la parte centrale, quella di Abyei e, in parte, anche il cosiddetto
Blue Nile, il Nilo Azzurro, quindi la parte orientale, e sicuramente il Sud Kurdufan,
in zona Sudan, dove gli aiuti umanitari fanno molta fatica ad arrivare e gravissima
è la situazione rispetto alla sicurezza. Già ci sono 4 milioni, tra sfollati e rifugiati,
che vagano fra questi Paesi. Ma, in particolare, mezzo milione di persone sono quelle
più in balia degli eventi. I timori sono proprio legati allo scontro sulla demarcazione
dei confini, perché, di fatto, è la causa che non permette il rientro di queste persone,
che, quindi, diventano una sorta di merce di scambio.