Cento anni fa nasceva Renato Rascel: un progetto di musica, teatro, cinema e immagini
lo ricorda a Torino
Cento anni fa nasceva Renato Rascel al secolo Renato Ranucci e Torino, sua città natale,
lo ricorda con un progetto voluto da Assemblea Teatro e dal Museo del Cinema, dal
titolo Arrivederci Rascel. Si inizia il 25 maggio con una mostra di vinili,
a seguire a giugno una retrospettiva cinematografica e a chiudere in autunno serate
dedicate alle canzoni più celebri anche per bambini. Un progetto multiforme come fu
la lunga carriera di un artista indimenticabile del Novecento italiano. Gabriella
Ceraso ne ha parlato con Alberto della Croce di Assemblea Teatro:
R. – E’ stato
un artista estremamente poliedrico. Petrolini lo indicò immediatamente come uno dei
migliori giovani del teatro romano. Suonava la batteria nei locali, ballava tanto
il tango quanto il tip tap, cosa che negli anni Quaranta rappresentò una novità. Lui
subito la fece sua, la provò e quindi passò alla commedia teatrale. Provò a cambiare,
entrando nel cinema. Mi sembra che tutto questo sia veramente un percorso attoriale
– ed anche umano – molto importante. Quindi ci siamo detti che si trattava di un personaggio
che andava assolutamente ricordato in tutte le sue forme, in tutte le forme del suo
lavoro.
D. – La comicità di Renato Ruscel: è questo il tratto caratteristico
fondamentale, sia negli sketch e sia nei personaggi che lo hanno reso indimenticabile.
Che caratteristiche aveva?
R. – Prima di tutto, è nato per caso a Torino. E
questo è stato il suo primo scherzo, la sua prima ‘marachella’: i genitori, infatti,
attori di rivista e cantanti, avevano calcolato di farlo nascere assolutamente nella
città eterna, Roma. Ma lui è nato con una settimana di anticipo. La cosa importante
è che è riuscito a creare quella che fu una vera e propria macchietta. Una macchietta,
però, sempre estremamente intelligente: la sua comicità e la sua irriverenza, infatti,
riuscirono a creare dei personaggi che erano al di fuori della convenzione del teatro
del tempo. Riuscì anche ad utilizzare la chiave comica e l’ironia per far pensare.
E, forse, anche per questo fu poi visto e scelto dai grandi registi – come De Filippo
e Lattuada – per impersonare personaggi drammatici nel cinema.
D. – I suoi
spettacoli piacevano a tutti, così come le sue canzoni, e molte di queste erano indirizzate
proprio ai bambini. Non è una cosa così consueta…
R. – Certo. E’ una qualità
rara che però, secondo noi, dà il segno di chi fu Renato Ruscel. Nel momento in cui
parlava ai più piccoli, la realtà continuava ad essere il punto focale. Le sue filastrocche
e le sue canzoni vogliono essere momenti in cui il bambino può apprendere: invitava,
attraverso le sue canzoni, a chiudere ad esempio il rubinetto quando ci si lavava
le mani o i denti, e questa cosa la faceva negli anni Sessanta e Settanta. Anche da
ciò, quindi, si nota un’attenzione particolare ai bambini, nel considerarli non come
un target da colpire con il proprio lavoro ma piuttosto come un pubblico estremamente
serio ed importante da educare.
D. – Che tipo di italiano ha rappresentato,
anche in quel dopoguerra così difficile per tutto il Paese?
R. – Sicuramente
l’italiano medio, forse anche per questa sua caratteristica: lui, uomo piccolo, comico
e forte, sembrava sempre combattere contro le avversità della giornata, del quotidiano.
E’ questa, probabilmente, la chiave per cui è piaciuto così tanto agli italiani. Uno
dei complimenti più belli, per lui, fu quello di uno spettatore romano che, al termine
di uno spettacolo, gli gridò: “’A Renà, sei piccolo ma per noi sei grande”.
D.
– Lei con quale immagine o frase ricorda meglio Renato Ruscel?
R. – La più
bella è certamente quella del “Corazziere”. Lui che, così piccolo, in una società
dalle tante e troppe convenzioni, prende questa figura, la rende propria – e quindi
la rende estremamente piccola – e di nuovo, con grande semplicità, riesce a far ridere
tutta l’Italia.