Al Teatro dell'Opera di Roma, il "Barbiere di Siviglia" di Rossini
Ha debuttato al Teatro dell'Opera di Roma - con repliche fino al 26 aprile - un nuovo
allestimento del Barbiere di Siviglia di Rossini firmato da Ruggero Cappuccio,
che porta in scena lo stesso compositore mentre sogna e scrive il suo capolavoro.
La regia dell’opera, diretta da Bruno Campanella e con un ottimo cast di interpreti,
ha colto di sorpresa e affascinato gli spettatori. Il servizio di Luca Pellegrini:
Anche il "cervello"
di Rossini, "già stordito sbalordito, non ragiona, si confonde e si riduce ad impazzar",
come quello che i protagonisti del Barbiere di Siviglia vorticosamente e attoniti
cantano alla fine del primo atto? Ruggero Cappuccio sente tutto il peso di
questa improvvisa e paurosa confessione e nel nuovo allestimento dell’opera ne coglie
senza dubbio il senso vertiginoso, in cui tutto è sospeso sull'orlo di un sogno senza
fine. Com’è nata l'idea di Rossini sul palcoscenico che guarda genesi e svolgimento
del suo capolavoro?
R. - L’idea è nata da un approfondimento biografico che
conoscono tutti: riguarda l’età in cui Gioacchino Rossini compose il Barbiere,
aveva appena 24 anni. Però, l'elemento di ulteriore curiosità è che Rossini, la compone
in 15 giorni e 15 notti. Questo mi ha fatto venire in mente l’idea di che tipo di
composizione si attivi in queste condizioni: il compositore vive, cioè, una specie
di stato di possessione, una specie di stato onirico. Allora perché metto Rossini
in scena? Perché, se oggi qualcuno tra noi - dopo aver fatto un sogno – volesse riportare
il sogno, con quel tanto di chiarezza per decodificarne i simboli, potrebbe, ad esempio,
rivolgersi ad un analista. Nel caso di Rossini, nel caso del processo della musica
e del teatro, noi ci troviamo di fronte a un processo psicanalitico opposto, emotivo:
il compositore sogna il Barbiere di Siviglia e dopo averlo sognato e composto,
non chiede ai suoi cantanti di chiarirne il mistero, ma chiede di sognarlo una seconda
volta. Dopodiché i cantanti chiedono al pubblico di sognarlo una terza e da questi
“sogni moltiplicati”, viene fuori il rapporto teatrale tra chi mette in scena e chi
assiste alla messa in scena. Rossini, a questo punto, entra in quest’opera e risvegliandosi
sul pianoforte dove si era addormentato – probabilmente dopo una notte di pressanti
fatiche compositive – guarda questo strano mondo, che forse ha appena sognato, o guarda
questo strano mondo che è forse una proiezione mentale della sua idea sul Barbiere
di Siviglia, siede al pianoforte, suona e l’opera si avvia.
D. - Per lo
spettatore in sala che cosa significa?
R. - Che forse, nel 2012 - due secoli
dopo la composizione del Barbiere di Siviglia - Rossini continua ad essere
un fantasma, che si aggira tra le macerie della modernità ed è più moderno di quelle
sequenze infinite di “derive rockettare” che abbiamo avuto negli ultimi trent'anni.
Possiamo anche voler dire, però, che non soltanto Rossini è un fantasma che ci perseguita
in maniera vitalissima e moderna, ma potremmo anche voler dire che Rossini è colto
nell'attimo in cui - spossato dalla fatica e dall'ispirazione - sta sognando in quel
momento il suo mondo, il suo nuovo mondo.