Attesa per la reazione dei mercati al potenziamento del FMI
Il G20 assicura 430 miliardi di dollari per rafforzare gli strumenti anti-crisi del
Fondo Monetario Internazionale (Fmi) e intanto esorta l'Europa ad andare avanti sulla
strada delle riforme. La linea emersa nell’incontro a Washington, sabato scorso, si
presenta ora alla prova dei mercati in una settimana piena di appuntamenti, fra i
quali l'asta del Tesoro, per il 26 aprile, di Bot semestrali dal valore di 8,5 miliardi
di euro e negli Stati Uniti la riunione della Fed e giovedì le stime del Pil americano
per il primo trimestre. Ma l'attenzione degli operatori sembra concentrata più sul
Vecchio Continente, in particolare sull'Olanda, dopo la crisi di governo dovuta proprio
alle divisioni sulle politiche di rigore cui perfino Amsterdam e' costretta a ricorrere
per fronteggiare la crisi del debito, ma soprattutto sulla sfida in atto per le presidenziali
in Francia. Gli stanziamenti per il Fmi assicurano intanto al Fondo una capacità quasi
raddoppiata di prestiti, disponibili per tutti i Paesi, anche l'Europa che è il maggiore
contributore dell'aumento. Nell’intervista di Fausta Speranza la riflessione
di Riccardo Moro, direttore della Fondazione Cei "Giustizia e Solidarietà":00:04:12:53
R.
– In realtà, significa mettere - oppure ‘rimettere’, se qualcuno vuole intenderlo
in modo più polemico – il Fondo nelle condizioni di fare il suo mestiere. Il Fondo
è nato per effettuare una sorta di monitoraggio e di cura della stabilità monetaria
e finanziaria internazionale, con l’idea, da un lato, di controllare e, dall’altro,
di intervenire in aiuto dei singoli governi nel momento in cui ci fossero situazioni
di difficoltà. Finanziare programmi di lungo periodo è il mestiere della Banca Mondiale,
mentre il Fondo finanzia interventi di brevissimo periodo in casi di crisi di liquidità
e di difficoltà immediata, come quelli in cui ci troviamo attualmente. Fa prestiti
a breve termine – si chiamano prestiti ‘stand by’ – e nel momento in cui li doveva
fare a Paesi relativamente piccoli o con economie con un valore inferiore a quelle
del Nord, gli bastava un certo capitale. Ma nel momento in cui sono state le economie
del Nord ad essere in difficoltà, il Fondo ha avuto bisogno di maggiori risorse. In
qualche modo, è un po’ la stessa cosa che si è proposta per l’Unione per creare il
fondo di stabilità europeo: è interessante vedere che il Fondo riesce forse con tempi
più rapidi a creare questa disponibilità rispetto a quelli dell’Europa.
D.
– La crisi è scoppiata negli Stati Uniti e poi è esplosa anche in Europa, perché si
è vista la debolezza dell’Europa stessa con i debiti sovrani eccessivi. Semplificando,
possiamo dire che gli Stati Uniti hanno immesso liquidità e che l’Europa lo sta facendo
ma con molta più lentezza. A questo punto, chi sta meglio e chi sta peggio?
R.
– E’ difficile dire chi sta peggio e chi sta meglio. Diciamo che, se in Europa la
crisi ha avuto un impatto più forte sulle finanze pubbliche, probabilmente è dovuto
al fatto che abbiamo dei sistemi “automatici” più consistenti di tutela dei cittadini.
Nel senso che negli Stati Uniti l’impatto della crisi ha fatto stare peggio le persone,
significativamente peggio: chi ha perso la casa ed è rimasto indebitato, perché il
valore della sua casa si era talmente ridotto da non riuscire nemmeno a coprire il
valore delle ipoteche dei mutui che erano stati sottoscritti, ha vissuto davvero molto
male in questi anni, li ha vissuti come un incubo. Nei nostri Paesi europei nessuno
si è trovato in una situazione realmente da incubo: ci sono state situazioni estremamente
pesanti, ma sono stati messi in piedi dei meccanismi di protezione sociale. A parte,
forse, il caso della Grecia che è quello più preoccupante. Questo ha certamente comportato
un impatto molto più forte sulle finanze pubbliche. La questione, adesso, è come riuscire
ad uscire da questa situazione. In Europa, dove non c’è un’unità e uniformità politica,
sino ad ora ha prevalso l’opinione del Paese che, apparentemente, stava meglio, la
Germania, che era favorevole più ad una politica di austerità. Vale a dire: facciamo
sacrifici e riduciamo la spesa per uscire da questa situazione. Negli Stati Uniti
– politicamente più uniformi, perché sono un’unica nazione con un governo solo per
tutti i 50 Stati -, il governo ha scelto una via diversa: quella degli stimoli, immettendo
liquidità nel mercato ed usando lo Stato in modo “proactive”, come si dice in inglese.
In questo modo, ha ottenuto dei benefici maggiori. Attualmente, in Europa sta nascendo
e sta diventando sempre più consistente la posizione in favore di chi dice che, forse,
bisogna dare un po’ più di stimoli al mercato ed all’economia, perché è questo che
si deve sviluppare, piuttosto che continuare il ritornello dell’austerità che, in
realtà, rischia di alimentare ulteriormente la crisi. Il vero problema dell’Europa
è che manca un’unità politica. Si fa moltissima fatica a trovare posizioni coese -
e a questo vanno aggiunti gli egoismi dei vari Paesi che, se posso dirlo, registrano
un livello anche abbastanza basso di classe dirigente - e, in ultimo, alcuni passaggi
elettorali che, evidentemente, rendono più difficile trovare posizioni politiche anche
un po’ coraggiose. Mi riferisco soprattutto alla situazione francese: tutti stiamo
cercando di capire cosa succederà in Francia.