Il G20 aumenta le risorse del Fmi. L'economista Moro: meno austerità, più stimoli
al mercato
La crescita è modesta e resta alto il livello di rischio: è quanto emerso dal G20
a Washington che, nei giorni scorsi, ha deciso un aumento a 430 miliardi delle risorse
per il Fondo Monetario Internazionale. Apprezzamento è stato espresso per le misure
prese da alcuni Paesi, primo fra tutti l’Italia, ma ancora la crisi è tutt’altro che
superata. Per l’Europa resta la preoccupazione per lo spread che ha avuto di nuovo
punte di rialzo. Delle linee guida internazionali e delle scelte e prospettive in
Europa e negli Stati Uniti, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Riccardo
Moro, direttore della Fondazione Cei "Giustizia e Solidarietà":
R. – In realtà,
significa mettere - oppure ‘rimettere’, se qualcuno vuole intenderlo in modo più polemico
– il Fondo nelle condizioni di fare il suo mestiere. Il Fondo è nato per effettuare
una sorta di monitoraggio e di cura della stabilità monetaria e finanziaria internazionale,
con l’idea, da un lato, di controllare e, dall’altro, di intervenire in aiuto dei
singoli governi nel momento in cui ci fossero situazioni di difficoltà. Finanziare
programmi di lungo periodo è il mestiere della Banca Mondiale, mentre il Fondo finanzia
interventi di brevissimo periodo in casi di crisi di liquidità e di difficoltà immediata,
come quelli in cui ci troviamo attualmente. Fa prestiti a breve termine – si chiamano
prestiti ‘stand by’ – e nel momento in cui li doveva fare a Paesi relativamente piccoli
o con economie con un valore inferiore a quelle del Nord, gli bastava un certo capitale.
Ma nel momento in cui sono state le economie del Nord ad essere in difficoltà, il
Fondo ha avuto bisogno di maggiori risorse. In qualche modo, è un po’ la stessa cosa
che si è proposta per l’Unione per creare il fondo di stabilità europeo: è interessante
vedere che il Fondo riesce, forse con tempi più rapidi, a creare questa disponibilità
rispetto a quelli dell’Europa.
D. – La crisi è scoppiata negli Stati Uniti
e poi è esplosa anche in Europa, perché si è vista la debolezza dell’Europa stessa
con i debiti sovrani eccessivi. Semplificando, possiamo dire che gli Stati Uniti hanno
immesso liquidità e che l’Europa lo sta facendo ma con molta più lentezza. A questo
punto, chi sta meglio e chi sta peggio?
R. – E’ difficile dire chi sta peggio
e chi sta meglio. Diciamo che, se in Europa la crisi ha avuto un impatto più forte
sulle finanze pubbliche, probabilmente è dovuto al fatto che abbiamo dei sistemi “automatici”
più consistenti di tutela dei cittadini. Nel senso che negli Stati Uniti l’impatto
della crisi ha fatto stare peggio le persone, significativamente peggio: chi ha perso
la casa ed è rimasto indebitato, perché il valore della sua casa si era talmente ridotto
da non riuscire nemmeno a coprire il valore delle ipoteche dei mutui che erano stati
sottoscritti, ha vissuto davvero molto male in questi anni, li ha vissuti come un
incubo. Nei nostri Paesi europei nessuno si è trovato in una situazione realmente
da incubo: ci sono state situazioni estremamente pesanti, ma sono stati messi in piedi
dei meccanismi di protezione sociale. A parte, forse, il caso della Grecia che è quello
più preoccupante. Questo ha certamente comportato un impatto molto più forte sulle
finanze pubbliche. La questione, adesso, è come riuscire ad uscire da questa situazione.
In Europa, dove non c’è un’unità e uniformità politica, sino ad ora ha prevalso l’opinione
del Paese che, apparentemente, stava meglio, la Germania, che era favorevole più ad
una politica di austerità. Vale a dire: facciamo sacrifici e riduciamo la spesa per
uscire da questa situazione. Negli Stati Uniti – politicamente più uniformi, perché
sono un’unica nazione con un governo solo per tutti i 50 Stati -, il governo ha scelto
una via diversa: quella degli stimoli, immettendo liquidità nel mercato ed usando
lo Stato in modo “proactive”, come si dice in inglese. In questo modo, ha ottenuto
dei benefici maggiori. Attualmente, in Europa sta nascendo e sta diventando sempre
più consistente la posizione in favore di chi dice che, forse, bisogna dare un po’
più di stimoli al mercato ed all’economia, perché è questo che si deve sviluppare,
piuttosto che continuare il ritornello dell’austerità che, in realtà, rischia di alimentare
ulteriormente la crisi. Il vero problema dell’Europa è che manca un’unità politica.
Si fa moltissima fatica a trovare posizioni coese - e a questo vanno aggiunti gli
egoismi dei vari Paesi che, se posso dirlo, registrano un livello anche abbastanza
basso di classe dirigente - e, in ultimo, alcuni passaggi elettorali che, evidentemente,
rendono più difficile trovare posizioni politiche anche un po’ coraggiose. Mi riferisco
soprattutto alla situazione francese: tutti stiamo cercando di capire cosa succederà
in Francia.