2012-04-22 10:10:39

Il G20 aumenta le risorse del Fmi. L'economista Moro: meno austerità, più stimoli al mercato


La crescita è modesta e resta alto il livello di rischio: è quanto emerso dal G20 a Washington che, nei giorni scorsi, ha deciso un aumento a 430 miliardi delle risorse per il Fondo Monetario Internazionale. Apprezzamento è stato espresso per le misure prese da alcuni Paesi, primo fra tutti l’Italia, ma ancora la crisi è tutt’altro che superata. Per l’Europa resta la preoccupazione per lo spread che ha avuto di nuovo punte di rialzo. Delle linee guida internazionali e delle scelte e prospettive in Europa e negli Stati Uniti, Fausta Speranza ha parlato con l’economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione Cei "Giustizia e Solidarietà":RealAudioMP3

R. – In realtà, significa mettere - oppure ‘rimettere’, se qualcuno vuole intenderlo in modo più polemico – il Fondo nelle condizioni di fare il suo mestiere. Il Fondo è nato per effettuare una sorta di monitoraggio e di cura della stabilità monetaria e finanziaria internazionale, con l’idea, da un lato, di controllare e, dall’altro, di intervenire in aiuto dei singoli governi nel momento in cui ci fossero situazioni di difficoltà. Finanziare programmi di lungo periodo è il mestiere della Banca Mondiale, mentre il Fondo finanzia interventi di brevissimo periodo in casi di crisi di liquidità e di difficoltà immediata, come quelli in cui ci troviamo attualmente. Fa prestiti a breve termine – si chiamano prestiti ‘stand by’ – e nel momento in cui li doveva fare a Paesi relativamente piccoli o con economie con un valore inferiore a quelle del Nord, gli bastava un certo capitale. Ma nel momento in cui sono state le economie del Nord ad essere in difficoltà, il Fondo ha avuto bisogno di maggiori risorse. In qualche modo, è un po’ la stessa cosa che si è proposta per l’Unione per creare il fondo di stabilità europeo: è interessante vedere che il Fondo riesce, forse con tempi più rapidi, a creare questa disponibilità rispetto a quelli dell’Europa.

D. – La crisi è scoppiata negli Stati Uniti e poi è esplosa anche in Europa, perché si è vista la debolezza dell’Europa stessa con i debiti sovrani eccessivi. Semplificando, possiamo dire che gli Stati Uniti hanno immesso liquidità e che l’Europa lo sta facendo ma con molta più lentezza. A questo punto, chi sta meglio e chi sta peggio?

R. – E’ difficile dire chi sta peggio e chi sta meglio. Diciamo che, se in Europa la crisi ha avuto un impatto più forte sulle finanze pubbliche, probabilmente è dovuto al fatto che abbiamo dei sistemi “automatici” più consistenti di tutela dei cittadini. Nel senso che negli Stati Uniti l’impatto della crisi ha fatto stare peggio le persone, significativamente peggio: chi ha perso la casa ed è rimasto indebitato, perché il valore della sua casa si era talmente ridotto da non riuscire nemmeno a coprire il valore delle ipoteche dei mutui che erano stati sottoscritti, ha vissuto davvero molto male in questi anni, li ha vissuti come un incubo. Nei nostri Paesi europei nessuno si è trovato in una situazione realmente da incubo: ci sono state situazioni estremamente pesanti, ma sono stati messi in piedi dei meccanismi di protezione sociale. A parte, forse, il caso della Grecia che è quello più preoccupante. Questo ha certamente comportato un impatto molto più forte sulle finanze pubbliche. La questione, adesso, è come riuscire ad uscire da questa situazione. In Europa, dove non c’è un’unità e uniformità politica, sino ad ora ha prevalso l’opinione del Paese che, apparentemente, stava meglio, la Germania, che era favorevole più ad una politica di austerità. Vale a dire: facciamo sacrifici e riduciamo la spesa per uscire da questa situazione. Negli Stati Uniti – politicamente più uniformi, perché sono un’unica nazione con un governo solo per tutti i 50 Stati -, il governo ha scelto una via diversa: quella degli stimoli, immettendo liquidità nel mercato ed usando lo Stato in modo “proactive”, come si dice in inglese. In questo modo, ha ottenuto dei benefici maggiori. Attualmente, in Europa sta nascendo e sta diventando sempre più consistente la posizione in favore di chi dice che, forse, bisogna dare un po’ più di stimoli al mercato ed all’economia, perché è questo che si deve sviluppare, piuttosto che continuare il ritornello dell’austerità che, in realtà, rischia di alimentare ulteriormente la crisi. Il vero problema dell’Europa è che manca un’unità politica. Si fa moltissima fatica a trovare posizioni coese - e a questo vanno aggiunti gli egoismi dei vari Paesi che, se posso dirlo, registrano un livello anche abbastanza basso di classe dirigente - e, in ultimo, alcuni passaggi elettorali che, evidentemente, rendono più difficile trovare posizioni politiche anche un po’ coraggiose. Mi riferisco soprattutto alla situazione francese: tutti stiamo cercando di capire cosa succederà in Francia.







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