Afghanistan: religiose al servizio dei bambini sfidando ogni ostacolo
A Kabul resta alta la tensione dopo la massiccia offensiva talebana di primavera
contro i palazzi del potere avvenuta la scorsa settimana e costata la vita ad oltre
30 persone. Tuttavia, nei giorni dei combattimenti non si è mai fermato il lavoro
del centro cattolico intercongregazionale di supporto ai bambini disabili. Qui le
suore di diverse congregazioni, pur non nascondendo la loro fede, devono lasciare
il loro abito religioso per motivi di sicurezza e vestono alla maniera delle donne
afgane. Marco Guerra ha raccolto la testimonianza di suor Celina, domenicana
di Santa Caterina, fra le animatrici della struttura:
R. - Grazie
a Dio, il Signore veramente ci ha protetto, perché eravamo lì vicino all’ambasciata
tedesca dieci minuti prima che iniziassero l’attacco. Come siamo arrivate a casa abbiamo
udito i primi colpi degli spari, e l’autista ha detto subito: “Il Signore vi vuole
proprio bene sorelle!”…eravamo lì ed hanno iniziato a sparare.
D. - La violenza
della guerra, che si riaffaccia ciclicamente per le strade della capitale afghana,
è solo una delle tante difficoltà che devono affrontare le religiose del centro pro-bambini
di Kabul.
R. - Come suore, ma soprattutto come donne, qui in Afghanistan non
si esce di casa se non c’è una cosa particolare da fare, da comprare qualcosa e si
ritorna. Per cui le relazioni che abbiamo noi con la gente sono soprattutto con i
genitori e le famiglie di questi bambini che vengono qui..
D. - Ma facciamo
un passo indietro insieme a suor Celina per capire la genesi del progetto.
R.
- Appena terminata la guerra e nel messaggio del Natale 2001, Giovanni Paolo II disse:
“Dobbiamo fare qualcosa per i bambini di Kabul”. Fu in quell’occasione che alcune
religiose che presero parte all’Usmi si misero insieme e, nel giro di un anno, un
anno e mezzo, si elaborò la decisione di aprire un’associazione, perché come istituto
religioso non ci avrebbero mai accettato. Fu così che nacque l’Associazione pro-bambini
di Kabul.
D. - Perché tanta attenzione rivolta ai disabili fin dall’inizio?
R.
- La Caritas internazionale ci indicò i bambini con traumi di guerra o con ritardo
psicologico dovuto soprattutto al fatto che qui molti matrimoni avvengono tra consanguinei.
Abbiamo iniziato a raccogliere questi bambini e abbiamo cercato di aiutarli attraverso
una stimolazione fisica, una stimolazione psicologica perché imparassero a parlare,
a esprimersi, a lavarsi, a essere autosufficienti per le loro cose.
D. - E
dopo anni, il centro pro-bambini di Kabul è una delle realtà più solide nell’ambito
degli interventi umanitari nell’intero Afghanistan…
R. - Il centro, dopo sei
anni, è molto riconosciuto e siamo in diretto contatto con il ministero dell’Educazione
e il ministero degli Affari Sociali afghani. Sono presenti le Suore della Divina Provvidenza
del Beato Cottolengo, le Francescane di Cristo Re e poi ci sono due domenicane di
Santa Caterina. Abbiamo chiamato quattro ragazze che avevano studiato in casa loro
durante il periodo dei talebani. All’inizio erano otto bambini, poi quindici e ora
siamo arrivati a 36. il nostro obiettivo è di arrivare a non più di 40.
D.
- Un’attività che sta portando lentamente alla caduta dell’ultimo muro di diffidenza
che separa le religiose dal resto della popolazione afghana...
R. – L’altro
giorno siamo andate a comprare la verdura. Un signore è entrato nel negozio e ha chiesto
al proprietario: “Ma queste donne chi sono?”, e il proprietario: “Sono delle straniere
che sono qui per prendere i nostri bambini, quelli che non parlano, quelli che teniamo
chiusi in casa, e li aiutano a parlare, a muoversi e a relazionarsi. Stanno facendo
un grande lavoro”. Per me questa è stata la gioia più grande, perché dopo tanti anni
si rendono conto che c’è una piccola speranza, c’è una testimonianza.