2012-04-21 14:50:18

Afghanistan: religiose al servizio dei bambini sfidando ogni ostacolo


A Kabul resta alta la tensione dopo la massiccia offensiva talebana di primavera contro i palazzi del potere avvenuta la scorsa settimana e costata la vita ad oltre 30 persone. Tuttavia, nei giorni dei combattimenti non si è mai fermato il lavoro del centro cattolico intercongregazionale di supporto ai bambini disabili. Qui le suore di diverse congregazioni, pur non nascondendo la loro fede, devono lasciare il loro abito religioso per motivi di sicurezza e vestono alla maniera delle donne afgane. Marco Guerra ha raccolto la testimonianza di suor Celina, domenicana di Santa Caterina, fra le animatrici della struttura:RealAudioMP3

R. - Grazie a Dio, il Signore veramente ci ha protetto, perché eravamo lì vicino all’ambasciata tedesca dieci minuti prima che iniziassero l’attacco. Come siamo arrivate a casa abbiamo udito i primi colpi degli spari, e l’autista ha detto subito: “Il Signore vi vuole proprio bene sorelle!”…eravamo lì ed hanno iniziato a sparare.

D. - La violenza della guerra, che si riaffaccia ciclicamente per le strade della capitale afghana, è solo una delle tante difficoltà che devono affrontare le religiose del centro pro-bambini di Kabul.

R. - Come suore, ma soprattutto come donne, qui in Afghanistan non si esce di casa se non c’è una cosa particolare da fare, da comprare qualcosa e si ritorna. Per cui le relazioni che abbiamo noi con la gente sono soprattutto con i genitori e le famiglie di questi bambini che vengono qui..

D. - Ma facciamo un passo indietro insieme a suor Celina per capire la genesi del progetto.

R. - Appena terminata la guerra e nel messaggio del Natale 2001, Giovanni Paolo II disse: “Dobbiamo fare qualcosa per i bambini di Kabul”. Fu in quell’occasione che alcune religiose che presero parte all’Usmi si misero insieme e, nel giro di un anno, un anno e mezzo, si elaborò la decisione di aprire un’associazione, perché come istituto religioso non ci avrebbero mai accettato. Fu così che nacque l’Associazione pro-bambini di Kabul.

D. - Perché tanta attenzione rivolta ai disabili fin dall’inizio?

R. - La Caritas internazionale ci indicò i bambini con traumi di guerra o con ritardo psicologico dovuto soprattutto al fatto che qui molti matrimoni avvengono tra consanguinei. Abbiamo iniziato a raccogliere questi bambini e abbiamo cercato di aiutarli attraverso una stimolazione fisica, una stimolazione psicologica perché imparassero a parlare, a esprimersi, a lavarsi, a essere autosufficienti per le loro cose.

D. - E dopo anni, il centro pro-bambini di Kabul è una delle realtà più solide nell’ambito degli interventi umanitari nell’intero Afghanistan…

R. - Il centro, dopo sei anni, è molto riconosciuto e siamo in diretto contatto con il ministero dell’Educazione e il ministero degli Affari Sociali afghani. Sono presenti le Suore della Divina Provvidenza del Beato Cottolengo, le Francescane di Cristo Re e poi ci sono due domenicane di Santa Caterina. Abbiamo chiamato quattro ragazze che avevano studiato in casa loro durante il periodo dei talebani. All’inizio erano otto bambini, poi quindici e ora siamo arrivati a 36. il nostro obiettivo è di arrivare a non più di 40.

D. - Un’attività che sta portando lentamente alla caduta dell’ultimo muro di diffidenza che separa le religiose dal resto della popolazione afghana...

R. – L’altro giorno siamo andate a comprare la verdura. Un signore è entrato nel negozio e ha chiesto al proprietario: “Ma queste donne chi sono?”, e il proprietario: “Sono delle straniere che sono qui per prendere i nostri bambini, quelli che non parlano, quelli che teniamo chiusi in casa, e li aiutano a parlare, a muoversi e a relazionarsi. Stanno facendo un grande lavoro”. Per me questa è stata la gioia più grande, perché dopo tanti anni si rendono conto che c’è una piccola speranza, c’è una testimonianza.







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