Giornata mondiale dell’emofilia: solo il 25% dei malati ha accesso alle cure
Si celebra oggi, in 113 Paesi, l’ottava Giornata mondiale dell’emofilia. Una patologia
rara, di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del sangue. Lo
slogan scelto quest’anno dalla Federazione Mondiale per l’Emofilia è “Close the gap”,
per evidenziare che nel mondo soltanto il 25% dei malati emofilici ha accesso alle
terapie. Salvatore Sabatino ha intervistato Romano Arcieri, segretario
generale della Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo):
R. – Sia a
livello nazionale che a livello internazionale, c’è una carenza di accessibilità ai
trattamenti e ai farmaci per i pazienti emofilici. Per esempio, il 75% dei pazienti
a livello internazionale non ha ricevuto un adeguato trattamento, mentre a livello
nazionale c’è una variabilità da regione a regione e la qualità dei trattamenti e
dell’assistenza clinica ai pazienti è diversificata.
D. – Perché, secondo
lei, questa mancanza di attenzione da parte delle istituzioni nei confronti dei malati?
R.
– Questa carenza di attenzione è rivolta, in particolar modo, a una diversità e a
una carenza di pianificazione nella programmazione regionale su alcuni temi, tanto
più che le malattie rare sono spesso malattie particolari e la sensibilità politica
potrebbe mancare da questo punto di vista.
D. – L’emofilia, lo ricordiamo,
è una malattia rara di origine genetica, dovuta ad un difetto della coagulazione del
sangue. Ci può descrivere qual è il profilo di un malato?
R. – La carenza di
una proteina – la proteina ottava o la proteina nona del sangue – determina delle
emorragie che colpiscono prevalentemente le articolazioni e i muscoli, ma possono
colpire anche organi vitali, compromettendo seriamente la vita del paziente stesso.
Ci si accorge di questa patologia quando il bambino è molto piccolo – intorno a un
anno, un anno e mezzo – quando comincia a gattonare e compaiono degli ematomi e dei
lividi vistosi sulle gambe. Solo allora comincia a esserci il sospetto di avere un
fenomeno emorragico problematico, per cui il medico di famiglia o il pediatra mandano
questi bambini ai centri specializzati per la diagnosi di questa patologia.
D.
– Ci sono, quindi, problemi anche di diagnosi della patologia?
R. – Sì, la
diagnosi è molto complessa: è necessario farla soltanto in centri capaci di poterla
effettuare, perché i test sono specifici e non tutti i centri clinici hanno la possibilità
di fare questa diagnosi. Solo alcuni centri di eccellenza identificati sul territorio
possono farla. Questo è un problema serio, perché sul territorio non tutti i centri
che praticano questa cura sono identificati a livello istituzionale e quindi spesso
abbiamo per l’assistenza e la cura di questi pazienti anche un fenomeno di migrazione
dei pazienti – in particolar modo dal sud verso il nord – per ricevere la diagnosi
e le cure adeguate.
D. – Esiste una cura?
R. – Esiste una cura sostitutiva
ed esistono dei prodotti, sia di provenienza plasmatica che da ingegneria genetica,
definiti combinanti, che vengono somministrati per via endovenosa in questi pazienti:
servono sostanzialmente per sostituire i fattori carenti. Non esiste una cura risolutiva
attualmente presente. Si stanno facendo studi di ricerca su alcune terapie genetiche
che potrebbero dare alcuni segnali, ma non nell’immediato: diciamo forse tra qualche
anno.(mg)