Sale a 47 morti il bilancio dell'offensiva dei talebani nel cuore di Kabul
L’Afghanistan ancora scosso dalla violenta offensiva talebana di ieri, che ha colpito
punti sensibili a Kabul e altre province afghane e internazionali. Venti ore di scontri,
47 morti, tra i quali 8 membri delle forze di sicurezza, tre civili e 36 insorti.
E' il tragico bilancio del primo atto della cosiddetta “campagna di primavera” lanciata
dai ribelli contro il governo Karzai e la forza internazionale Isaf. Secondo i capi
dell’insurrezione, che hanno rivendicato gli attentati, si tratterebbe di un atto
di ritorsione per le copie del Corano, bruciate nella base americana di Bagram, e
per il recente massacro compiuto da un sergente statunitense a Kandahar. Sentiamo
l’analisi del collega Maurizio Salvi, intervistato da Giancarlo La Vella:
R. – Intanto
bisogna sottolineare che questa offensiva dei talebani era attesa, perché tradizionalmente
ogni anno, alla fine dell’inverno, gli insorti danno una dimostrazione di presenza
e di forza alle truppe di sicurezza afghane e internazionali. Bisogna dire che per
la prima volta questo è successo in modo molto eclatante a Kabul e nella zona verde,
cioè la zona di massimo controllo, dove si trovano le ambasciate, i ministeri, il
palazzo presidenziale e anche il quartier generale dell’Isaf, però nello stesso tempo
bisogna anche dire che il sistema di pronto intervento della polizia e dell’esercito
afghani ha funzionato, non nella velocità e nell’efficacia auspicabile, ma, nel corso
del pomeriggio, il contrasto ai talebani è stato portato avanti sostanzialmente dalle
forze afghane. Questo fa capire che il processo di transizione dalla coalizione internazionale
alle forze afghane continuerà e che quindi sostanzialmente fino al 2014 non cambierà
nulla nei programmi preventivati di ritiro delle forze occidentali.
D. – Inutile
dire che questi eventi rappresentano la parola “fine” sull’ipotesi di dialogo con
la parte moderata dei talebani…
R. – Certo la questione è problematica, perché
l’ipotesi di partenza era quella di permettere al presidente Hamid Karzai di trovare
interlocutori tra i talebani più moderati e qui assistiamo a una prova di forza dei
seguaci del mullah Omar che dimostra come 10 anni di conflitto non li ha affatto indeboliti.
In realtà, i talebani vogliono solo essere considerati interlocutori di primo grado
e recentemente hanno aperto un ufficio di rappresentanza nel Qatar con cui hanno iniziato
una sorta di dialogo con gli Stati Uniti. Il problema ora è vedere che margini ci
sono, perché questi talebani del mullah Omar possano dialogare con il presidente Karzai.
Va detto che questa offensiva è avvenuta il giorno dopo della nomina del nuovo presidente
dell’Alto Consiglio della Pace, Rabbani, che dovrebbe essere incaricato di portare
avanti questo dialogo.
D. – C’è il rischio che, avvicinandosi il ritiro delle
forze straniere, l’Afghanistan ritorni ad essere uno Stato fondamentalista gestito
dai talebani?
R. – Direi che è molto probabile che i talebani nel futuro dell’Afghanistan
abbiano un ruolo molto importante. Chi legge attentamente i loro comunicati, i loro
proclami, le loro piattaforme politiche, può vedere che comunque non stiamo parlando
più dei talebani del passato, ma di persone che si rendono conto che i tempi sono
cambiati: per esempio, loro, ripetutamente, da alcuni anni affermano di non voler
avere nulla a che fare con al Qaeda e di volere gestire il loro potere solo all’interno
dell’Afghanistan e hanno recentemente anche proclamato, se un giorno saranno al governo,
di voler recepire all’interno dell’esecutivo le forze vive, le intelligenze e le capacità
anche di altri gruppi etnici. Quindi, forse, su questa base bisognerebbe lavorare
per vedere quanto margine c’è per una soluzione che vada bene a tutti. (bf)