Sud Sudan: le Nazioni Unite chiedono il rispetto dei confini col Sudan
"Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esprime profonda e crescente preoccupazione
per l'escalation degli scontri tra Sudan e Sud Sudan”: è quanto si legge nella dichiarazione
che i Quindici membri hanno firmato all’unanimità. Si sottolinea il rischio di un
ritorno della sofferenza e della devastazione dopo la guerra civile di alcuni anni
fa e la secessione del Sud a luglio scorso. L’Onu chiede il rispetto del confine e
della zona di smilitarizzazione previsti dagli accordi di pace e chiede che si pacifichi
la situazione nelle aree più turbolente come Sud Kordofan, Nilo Blu e Aybei. Negli
ultimi giorni, gli aerei militari di Khartoum hanno bombardato un ponte di una pista
di atterraggio nei pressi di una base Onu, vicino alla città di Bentiu, nel Sud Sudan.
E 13 soldati hanno perso la vita solo ieri nello Stato del Nilo Blu. Del precario
equilibrio di rapporti tra Sudan e Sud Sudan, Fausta Speranza ha parlato con
l’africanista Anna Bono, docente all’Università di Torino:
R. – L’equilibrio
era precario ed era chiaro fin dall’inizio anche negli anni scorsi, quando forse qualcosa
si sarebbe potuto fare. Nonostante la firma, nel 2005, di un cosiddetto accordo globale
di pace, alcuni punti importanti e anche decisivi nel rapporto tra il Sudan e il Sud
Sudan non erano stati chiariti e in particolare l’esatta delimitazione dei confini.
D.
– Diciamo che questo equilibrio era precario anche perché c’erano e ci sono molti
interessi in gioco: li ricordiamo?
R. – La posta in gioco è prima di tutto
il petrolio, che rappresenta la quota più importante non solo delle esportazioni,
ma anche del prodotto interno lordo di entrambi i Paesi. Bisogna aggiungere che nei
lunghissimi anni di guerra – perché la guerra tra Nord e Sud del Paese è durata decenni
– si sono anche create delle alleanze e dei rapporti privilegiati tra etnie che vivono
a cavallo dei due Paesi e che hanno subito e alternativamente inflitto molte sofferenze
alle comunità rivali. Anche questo è un fatto che sta determinando una situazione
molto instabile e molto critica, come dimostra quel che è successo negli ultimi 6-7
mesi, da quando il Sud Sudan è diventato indipendente.
D. – Il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu nelle ultime ore ha raccomandato il rispetto degli accordi presi
proprio nel luglio scorso e dunque anche il rispetto della zona demilitarizzata tra
Nord e Sud. Ma, forse, ci sarebbe anche da raccomandare altro a livello politico:
scelte politiche che i due Paesi dovrebbero fare …
R. – I due Paesi, tanto
per cominciare, dovrebbero arrivare a un accordo per quel che riguarda le popolazioni
del Nord che vivono al Sud e soprattutto quelle originarie del Sud che vivono al Nord.
Uno dei fattori di crisi di queste ultime settimane è proprio questo: la sorte di
coloro – e parliamo di centinaia di migliaia, forse di milioni di persone – il cui
status è in forse. Anche questo è un fattore di destabilizzazione che, come si può
immaginare, potrebbe avere delle conseguenze gravissime in termini di flussi di popolazione
che tentano di spostarsi da uno Stato all’altro per ritrovare un’identità. Poi c’è
l’amministrazione – e questo riguarda soprattutto il Sud Sudan – che, come si temeva,
non sta dando buona prova sotto due profili fondamentali. Il primo livello è quello
del buon governo: dovrebbe evitare di considerare le risorse nazionali come proprietà
dei primi che riescono a metterci le mani. Si dovrebbe amministrare un patrimonio
che è enorme – anche se in questo momento ci sono dei problemi legati alle difficoltà
di esportare il petrolio – nell’interesse collettivo. Parliamo di un Paese che non
ha strade, che non ha reti ferroviarie, che non ha elettricità, che non ha acquedotti
e che ha bisogno praticamente di tutto. L’altro fattore, che pone un’ipoteca enorme
sulla stabilità del Sud Sudan, è rappresentato dai rapporti di potere tra le etnie:
i dinka, che sono l’etnia maggioritaria e che hanno avuto un ruolo leader nella
lunghissima lotta per la secessione, non hanno resistito al tentativo di accaparrarsi
la maggior parte dei posti di comando e quindi il governo è in gran parte nelle loro
mani e questo vale anche per le altre istituzioni. Anche questo sta suscitando, ovviamente
e inevitabilmente, tensioni molto forti perché altre popolazioni si considerano –
e lo sono di fatto – marginalizzate, con il rischio quindi di essere escluse in gran
parte dallo sviluppo del Paese, se questo sviluppo ci sarà … Ci sono infatti tutte
le premesse perché ci sia lo sviluppo, ma anche tutti i punti interrogativi sulle
reali probabilità … Purtroppo sappiamo che ovunque nel mondo, e in particolare in
Africa, la grande disponibilità di risorse finanziarie, di risorse naturali, non si
traducono facilmente in crescita economica e in sviluppo umano.
D. – Abbiamo
parlato degli equilibri tra Nord e Sud Sudan, parliamo ora degli equilibri geopolitici
dell’area: che cosa significherebbe una destabilizzazione di questi due Paesi?
R.
– La destabilizzazione di questi due Paesi si aggiungerebbe a una serie di situazioni
decisamente critiche che già rendono quest’area, così importante sotto molto punti
di vista, instabile e preoccupante. Prima di tutto, c’è il problema – anche questo
pluridecennale – della Somalia, che continua ad essere devastata da un conflitto che
sembra impossibile arrestare. Poi altri Stati dell’area vivono situazioni che sono
tutt’altro che rosee: basti pensare all’Eritrea, che è considerata una delle dittature
più terribili del pianeta, o all’Etiopia, governata con pugno duro e con molta determinazione
da Meles Zenawi, primo ministro da molti anni, dove ci sono grossi e crescenti movimenti
di protesta e di contestazione al governo e dove è in corso, in pratica, una guerra
che fa capo alla Somalia e che coinvolge ormai parecchi Paesi – perché in Somalia
combattono militari dell’Uganda, del Burundi, del Kenya, di Gibuti. E anche Eritrea
ed Etiopia, in un certo senso, si affrontano e si scontrano sul terreno somalo. E’
quindi una situazione già molto, molto instabile e molto delicata: se anche, come
tutto fa temere, questo immenso Paese riprende le armi – considerando poi che c’è
anche il Darfur che ha una situazione tutt’altro che risolta – l’intera regione del
Corno d’Africa e buona parte dell’Africa Orientale sarebbero coinvolti in un conflitto
tra Stati e tra forze interne a ciascun Stato. Questo non prometterebbe niente di
buono. (mg)